lunedì 9 giugno 2008

Il futuro viene da Santa Barbara

Il Potere Del Vento
di Allison Bruce


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(tradotto ed adattato da VenturaCountyStar.com, 5 Agosto 2007)




Gene Kelley, nella foto sopra, mostra il suo WindWing, sviluppato in collaborazione con la W2 Energy Development Corporation. Egli crede, insieme ai suoi collaboratori, che il suo progetto possa rimpiazzare le attuali turbine di forma elicoidale producendo molta più energia e riducendo i costi.


(http://w2energycorp.com/technology)

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Una compagnia di Santa Barbara, California, potrebbe avere in mano una semplice soluzione per l’energia eolica: il trucco, secondo la W2 Energy, consiste nel guardare non all’elica, ma ad una parte differente dell’aereo.

Mentre la maggior parte delle turbine odierne è costruita a forma di elica, Gene Kelley è convinto che le ali siano un’alternativa migliore per catturare l’energia del vento. Nonostante i principi fisici ed il lavoro richiesto dal progetto non siano né di facile comprensione né di semplice eseguibilità, il concetto che sta alla base del progetto WindWing è abbastanza lineare anche per un bambino.

Chiunque abbia mai messo una mano fuori dal finestrino di un’auto in corsa ha capito come funziona il progetto WindWing. Quando si inclina leggermente la mano verso l’alto, il vento inizia a spingerla verso l’alto, esercitando una spinta sul palmo, fino ad una posizione pseudo-verticale. Analogamente, non appena la mano viene inclinata leggermente verso il basso, il vento, agendo sul dorso, la spinge nella medesima direzione, fintantoché le articolazioni lo consentono. Il movimento risultante, cioè un’oscillazione, è proprio ciò che fornisce energia al dispositivo WindWing.

Kelley, un appassionato di volo che aggiunge decenni di esperienza nell’aviazione al suo lavoro di “ingegnere dei fattori umani”, ha affermato che l’uso di un’ala, contrapposto a quello di un’elica, permette di catturare l’energia del vento in maniera più semplice e più efficiente.

Il concetto che prevede l’utilizzo dell’ala può essere applicato anche all’acqua. In verità, secondo Kelley, qualsiasi mezzo fluido è adatto allo scopo, anche se per il momento la W2 Energy si sta concentrando sull’esclusivo impiego dell’aria.

Nel 2005, Kelley spedì una richiesta di brevetto per il quale non è ancora stata concessa l’approvazione, ma le parole che accompagnano la presentazione del progetto sono davvero molto efficaci: “Vogliamo seguire un metodo migliore nel ricavare energia da qualsiasi tipo di fonte rinnovabile che esista”. Kelley, fondatore della InnovaTech LLC (una società nata con precisi scopi di ricerca nel Giugno del 2006), possiede un background culturale abbastanza variegato, in riferimento a progetti ed invenzioni. Nei suoi 40 anni di esperienza, infatti, ha lavorato a progetti i cui target spaziano dalle miniere di carbone alle portaerei, oltre ad aver fatto parte del team di ricerca che ha sviluppato le bande sonore applicate sul fondo stradale.

La W2 Energy Development Corporation è nata nel Marzo del 2007, con il preciso scopo di sviluppare e concretizzare il concetto che sta alla base del progetto WindWing. L’idea originale era quella di generare energia a basso costo, che fosse anche trasferibile presso quelle zone del mondo colpite da emergenze come tsunami e terremoti. In più, erano anche stati approntati dei piani per dar vita ad una fondazione che avesse l’obiettivo di realizzare e donare i dispositivi.

Tuttavia, il metodo migliore per sviluppare la tecnologia WindWing era costituire una società per azioni: così facendo, si sono create diverse opportunità di investimento, utili a far confluire fondi verso lo sviluppo dei progetti e della ricerca. Nonostante la situazione societaria attuale, Gene Kelley spera ancora di poter costituire una fondazione che gli permetta di raggiungere il suo originale obiettivo filantropico.

Dopo la costituzione della W2 (nome che, ovviamente, si riferisce alle due W che compaiono nella sigla del progetto WindWing, ndT), il primo passo è stato quello di realizzare un prototipo allo scopo di verificare che il concetto base fosse valido. Ci sono voluti mesi di lavoro e diversi rimasugli meccanici per realizzare il prototipo, lo stesso che ora occupa una piccola stanza in fondo ad un hangar del Santa Barbara Airport.

Gene Kelley e David Buckalew, vice presidente di W2, hanno realizzato il prototipo non senza difficoltà ed errori. Le ali erano state realizzate con fogli di metallo nel giardino della casa di Kelley, mentre alcune parti del dispositivo provengono dal meccanismo elettrico usato per controllare l’abbassamento e l’innalzamento dei finestrini delle automobili; il tutto unitamente all’impiego degli stessi pesi che si possono trovare in una qualsiasi palestra. Altre parti, infine, sono state realizzate su misura da un’officina meccanica.

Il prototipo è costituito da 4 ali posizionate ad un capo di un braccio meccanico e da una serie di contrappesi fissati all’altro capo delle stesso; il braccio meccanico, se visto di profilo, risulta essere ripartito da un fulcro in due segmenti, il più corto dei quali è quello alla cui estremità sono fissati i contrappesi: la sua lunghezza, infatti, è di 1 piede (poco più di 30 cm), mentre la lunghezza dell’altro segmento, quello al quale sono applicate le ali, è di 10 piedi (poco più di 3 metri). Kelley ha così rapportato il bilanciamento del braccio meccanico – o semplicemente “barra” – nel fulcro al bilanciamento dei pesi di un’altalena (in termini ingegneristici, si applica un semplice equilibrio alla rotazione scegliendo il fulcro come polo, considerando i momenti flettenti che si generano per effetto dei contrappesi da una parte, e delle ali dall’altra; ovviamente, data la differenza di peso tra le ali ed i contrappesi, per ottenere l’equilibrio dei momenti è necessario che la coppia generata dal peso delle ali abbia un braccio maggiore – il rapporto, infatti, è di 10 a 1 – di quella generata dai contrappesi, ndT).



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Amplificazione del sollevamento

Proprio perché il segmento cui sono collegate le ali è realizzato con una proporzione di 10 a 1 nei confronti dell’altro, la spinta esercitata dal vento nel sollevare la barra risulta amplificata: 200 libbre di spinta sulle ali (corrispondenti a circa 91 kg peso, ndT) equivalgono ad un ton (approssimabile intorno ai 1000 kg peso, ndT) di forza impiegabile. Nell’applicazione pratica, il rapporto tra spinta del vento e forza impiegabile sarà determinato da fattori quali le condizioni del vento e la lunghezza delle ali.

L’accensione di un ventilatore, nella stanza in cui è conservato il prototipo, genera una corrente d’aria che si muove ad una velocità di 6,7 miglia all’ora (cioè 10,8 km/h, ndT): tutto ciò è sufficiente a far muovere il segmento collegato alle ali verso l’alto. Quando esso raggiunge la posizione sommitale, scatta un sensore di posizione che modifica l’orientamento delle ali, facendole inclinare verso il basso e cambiando quello che viene definito “angolo di impatto”. Il segmento viene quindi spinto verso il basso finchè non raggiunge la posizione infima: a quel punto, viene di nuovo modificato l’angolo d’impatto, per permettere al segmento di risalire.

L’apparato si muove lievemente, possedendo delle molle che, posizionate sul fulcro, si comprimono quando il segmento con le ali si trova nelle due posizioni estreme (sommitale ed infima), e si decomprimono quando il segmento è in posizione intermedia, per conferirgli una spinta nella direzione opposta dalla quale esso proviene. Questo semplice accorgimento, con molle che si comprimono e decomprimono in continuazione, consente di non sciupare energia durante la fase di inversione direzionale del segmento cui sono attaccate le ali.

Il cambio di orientamento delle ali (in gergo chiamato “flapping”) è il diretto responsabile di uno dei tanti vantaggi che il prototipo WindWing ha rispetto alle tradizionali turbine elicoidali: la probabilità di impatto con i volatili è di molto ridotta.

Nel modello WindWing attualmente impiegato, all’estremità cui sono fissati i contrappesi (la quale, sottolineo forse in maniera superflua, asseconda i movimenti dell’altra estremità, essendo evidentemente la barra un corpo unico, ndT) è possibile collegare una pompa: il movimento direzionale su-giù della barra può essere sfruttato, infatti, per comprimere l’aria, per pompare l’acqua o per generare ulteriore elettricità.

Secondo le parole di Ron Pretlac, capo dell’ufficio operativo di W2, “Sarà una tecnologia di indiscusso successo. Data l’elevata varietà di applicazioni, essa genera una vastissima gamma di nuove soluzioni.”

Stando ai dati dell’American Wind Energy Association, l’energia eolica attualmente produce meno dell’1% del quantitativo di energia elettrica utilizzato su base annua negli Stati Uniti. Tale ente condivide col presidente Bush la convinzione che il vento può produrre fino al 20% del fabbisogno energetico della Nazione.

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Riduzione delle emissioni di CO2

Ancora secondo l’American Wind Energy Association, se il 10% del potenziale eolico dei 10 Stati più ventosi fosse catturato, le emissioni di anidride carbonica degli Stati Uniti potrebbero ridursi di un terzo. Christine Real de Azua, assistente alle comunicazioni dello stesso ente, ha ammesso che la domanda di impianti eolici è cresciuta ad un ritmo talmente elevato che si esaurirà la disponibilità di turbine entro l’inizio del 2008. Di conseguenza, i costruttori stanno investendo nella realizzazione di nuovi apparati produttivi per adeguarsi alle richieste.

Gli esponenti della W2 sono sicuri che il loro approccio nei confronti della questione possa convincere più persone dei meriti dell’energia eolica. Naturalmente, l’aspetto più importante riguarda l’efficienza energetica degli impianti. Una turbina odierna, a forma elicoidale, riesce a convertire in elettricità fino al 45% dell’energia impiegata dal vento per muovere le pale.
La produttività delle turbine elicoidali è aumentata in contemporanea al miglioramento della tecnologia delle pale, mentre la loro manutenzione è calendarizzata nei periodi in cui la velocità del vento è ridotta, in modo da garantire all’utenza un periodo di utilizzo più lungo.

Kelley non è in disaccordo col fatto che le turbine elicoidali possano catturare l’energia del vento con cui entrano in contatto, ma è preoccupato per tutto il vento che le tre pale costituenti la turbina elicoidale si lasciano sfuggire. Ciò accade poiché la superficie delle tre pale – o lame – che entra in contatto col vento è molto ridotta. Egli ritiene, inoltre, che questo particolare si traduca nel fatto che viene catturato soltanto il 5% del volume contenuto in una colonna cilindrica d’aria. Il vento, in più, tende a colpire parti diverse delle pale a velocità differenti: la turbina, pertanto, è costretta a regolare la propria posizione, impiegando parte dell’energia prodotta.

Il progetto WindWing garantisce alle ali una superficie d’impatto col vento sensibilmente superiore rispetto a quella delle pale. Tutto ciò si traduce, ovviamente, in un aumento del potere sollevante, e di conseguenza in un aumento dell’energia prodotta. Secondo la W2, l’efficienza produttiva del progetto WindWing può raggiungere il 60% (ciò significa, evidentemente, che se il vento esercita sulle ali una spinta complessiva di 100 kg peso, la produzione energetica si attesta sui 60 kg peso, mentre nel caso delle turbine elicoidali si arriva ai 45 kg peso, ndT).

Su un singolo pilone possono essere montati, a diverse altezze, più dispositivi WindWing: ognuno di essi può essere regolato, in funzione delle diverse velocità del vento alle varie altezze, in modo da ottimizzare la produzione energetica. L’angolo d’impatto può essere regolato anch’esso, in maniera tale da avere un angolo maggiore quando il vento è più debole, ed un angolo minore quando il vento è più potente.

La W2 sta ricercando il massimo numero di dispositivi WindWing installabili su un singolo pilone. Il progetto consente che le ali abbiano dimensioni variabili, da quelle di un tavolo usato per le conferenze a quelle di un Boeing 747. Alla luce di questo, impiegando ali dalla superficie maggiore è possibile contenere il numero di piloni da installare sul territorio, producendo lo stesso quantitativo di energia delle turbine elicoidali: secondo Kelley, infatti, un singolo pilone WindWing può sostituire da 8 a 12 piloni con turbine elicoidali.
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Una soluzione meno costosa

Una turbina elicoidale delle più comuni, con pale che hanno una lunghezza di 40 metri e che generano una potenza di 1,8 megawatts, possono arrivare a costare più di 1,5 milioni di dollari (più di 970.000 euro, ndT). Turbine più piccole, dedicate a singoli insediamenti residenziali o industriali, possono costare fino a 80.000 dollari (qualcosa in più di 50.000 euro, ndT), secondo l’American Wind Energy Association.

Nonostante si trovi ancora allo stadio iniziale, Kelley crede che la tecnologia WindWing possa avere dei costi (di acquisto ed esercizio) attestabile intorno al 10%, al massimo, dei costi di una normale turbina elicoidale. Naturalmente, nel determinare il costo complessivo concorrono importanti fattori, tra i quali spicca la posizione del sito d’istallazione.

Per aumentare i vantaggi di istallazioni di questo tipo, si è pensato anche a montare celle fotovoltaiche sulla superficie delle ali. L’idea di avvicinare il più possibile il sistema WindWing all’utenza, ma soprattutto alle necessità dell’ambiente, ha portato verso la convinzione che sia la tecnologia WindWing che quella WaterWing possano essere impiegate per gli impianti di sollevamento che afferiscono agli acquedotti e per generare energia sfruttando il passaggio dell’acqua nelle condotte.

Attualmente, secondo Kelley, la raccolta di fondi di investimento per la produzione e l’installazione della tecnologia proposta dalla W2 necessita di una cifra compresa tra i 5 ed i 7 milioni di dollari, permettendo al progetto di evolvere dallo status di prototipo a prova di concetto a quello di un nuovo prototipo, più grande e funzionale.

La W2, inoltre, è alla ricerca di parti di territorio sulle quali, previo accordo di affitto con i proprietari, installare per prova tre differenti prototipi. Una volta realizzato, il sito-prove avrà la funzione di dimostrare fattivamente – e dal vivo – i pregi dei progetti. Una parte degli sforzi dello staff della W2 è diretta, naturalmente, verso l’individuazione del modo migliore per entrare sul mercato, potendo contare sul potenziale interesse del settore agricolo, di quello industriale e delle abitazioni dei privati.

In conclusione, nonostante la W2 non disdegnerebbe il supporto delle istituzioni, quando i suoi tecnici osservano il prototipo andare su è giù nel retro dell’hangar, non pensano affatto ai soldi o alla politica: sanno che sono lì ad osservare cosa il potere del vento può fare.

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L'Eolico in Numeri (2005)

Fonte: American Wind Energy Association

  • Capacità generante installata negli USA: 11603 Megawatts
  • Capacità generante installata nel mondo: 74225 Megawatts
  • Elettricità generata dal vento negli USA: 31 miliardi di kwh, cioè lo 0,7% del fabbisogno totale nazionale
  • Quantità di CO2 emessa con 31 miliardi di kwh da combustibili fossili: 19 milioni di tonnellate
  • Potenziale dell'Eolico negli USA: 10770 miliardi di kwh all'anno
  • Tasso medio di crescita dell'industria eolica negli USA: 22% negli ultimi 5 anni
  • Numero medio di abitazioni USA servito da 1 megawatt di Eolico: 250-300
  • Numero indicativo di abitazioni USA servito dalla capacità installata: 3190825 (su un totale di 106884524, cioè il 3% circa, secondo il sito www.census.gov).

sabato 24 maggio 2008

Ritorno a Villa Felice


Stasera sono tornato a Villa Felice.
L'ultima volta che ci sono stato, non sospettavo che la vita potesse riservare sorprese, alcune delle quali sono delle delusioni abilmente camuffate. Villa Felice, l'anima di Sant'Angelo di Drapia, ha chiuso i propri cancelli ufficialmente nel luglio del 1996.
Per anni, il suo Ostello della Gioventù è stato la casa di giovani vacanzieri durante l'estate, e di centinaia di ragazzi provenienti da tutte le zone della Calabria, e dalle famiglie più disastrate, durante l'inverno. Negli occhi dei ragazzi che trascorrevano interi anni scolastici a Sant'Angelo, protetti da una coltre di durezza e - a volte - bullismo che serviva a celare caratteri fragili ed impauriti, si poteva leggere la sofferenza che essi provavano per essere orfani di un genitore, per avere un genitore in carcere o un fratello drogato, per non poter più vedere madre e padre insieme, come facessero ancora parte di un'unica famiglia, la loro, e per non poter, in fondo, vivere con la speranza che i sogni si avverino, come fanno tutti i ragazzini fortunati.
Fortunati, i ragazzi di Villa Felice non lo erano per davvero. Alcuni di loro, benchè non ne avessero la minima colpa, avevano già, all'età di 10-12 anni, qualcosa da farsi perdonare, qualche conto da saldare con una vita che per loro era iniziata col piede sbagliato. Noi alunni della scuola elementare di Gasponi li temevamo. Spesso facevano i duri con noi, i prepotenti, ma io, personalmente, dovetti arrivare fino in quarta elementare per capire che la loro aggressività era una strategia di difesa, attuata nei confronti di un mondo che li aveva traditi, e del quale, chissà, forse non si sarebbero mai più fidati.
Nel giugno del 1994 fummo uniti a loro nella preparazione di una recita di fine anno scolastico. Io avrei svolto il ruolo di presentatore per la parte affidata ai bambini della scuola materna, mentre sarei stato il famoso Lawrence d'Arabia in quella parte di recita affidata ai più grandi. Avevamo provato poche volte insieme, e così quello che scoprii la sera della recita fu un'autentica sorpresa, la prima sorpresa positiva della mia vita. Avevo 10 anni.
Sul palco, mentre recitavo e mi muovevo, c'erano anche loro di fianco a me, i ragazzi di Villa Felice, tutti con ruoli secondari, ma con occhi che brillavano di stupore e gioia perchè - ora ne sono sicuro - si sentivano finalmente parte di un qualcosa di reale, che si andava trasformando in magico proprio davanti a loro. E per una sera, avendo dimenticato i loro problemi, la delusione di essere stati "abbandonati" in un istituto educativo, il dolore che provavano per essere stati strappati ai giochi ed agli amici, agli affetti ed alla fantasia, erano tornati bambini. Per loro, durante le due ore della nostra recita, sperare di avere una vita migliore non deve essere affatto sembrata un'utopia. Quella è stata la sera migliore della mia vita: ho potuto vedere con i miei occhi cosa significa tornare a sperare, e ringrazio Dio per avermelo concesso.
Poche ore fa, dicevo, ho rivisto i luoghi di Villa Felice: le scale di lato alla chiesa che vedete nella foto sopra, il piazzale dove mio padre mi portava a giocare a tennis con quella sua racchetta di legno e quelle sue palline consumate (una delle quali fu regalata, ricordo, ad un ragazzo che si era arrampicato su una staccionata per recuperarla, dopo che noi l'avevamo persa; un ragazzo probabilmente orfano - Villa Felice ne ospitava alcuni - aveva visto un padre ed un figlio giocare insieme, ed allora aveva voluto dare il suo contributo a quel momento di gioia, forse conscio di quello che significavano ai suoi occhi le scene che stava osservando), la bellissima piscina col fondo in plastica azzurra, le scuole elementari frequentate dai ragazzi, e poi l'Ostello, dove nel 1982 entrò persino papa Carol Wojtyla, e dove i miei genitori spesso mi accompagnavano, la domenica sera, alle messe di Don Florio (che ha avuto il grande merito, a Villa Felice, di cercare sempre di coinvolgere i ragazzi che aveva davanti, facendoli sentire importanti).
Poi ho rivisto Rita. E' una suora oblata che ha avuto il coraggio di lasciare la propria famiglia benestante, in quel di Roma, per scendere in Calabria, nella difficile Calabria di 35 anni fa, e dedicare tutta una vita ai ragazzi meno fortunati. Una missione che dura una vita. Salutandomi, stasera, ha risvegliato in me tutte le emozioni andate, quelle delle mie giornate trascorse a Villa Felice, emozioni genuine, che sembrano scomparire quando la vita si fa più difficile, ma che ogni tanto si avverte il bisogno di ricordare. Rita vive nella povertà materiale, ma la sua ricchezza, cioè la sua saggezza, il suo essere stata disponibile, comprensiva e d'aiuto per quei ragazzi, non può passare in secondo piano, nè può essere dimenticata, poichè è merce assai rara sulla Terra. I ragazzi di Villa Felice che l'hanno conosciuta, dovunque essi siano in questo momento, non potranno che ricordarla con viva gioia.
Solo dieci minuti a Villa Felice, ma abbastanza per ricordare mille storie, per rivivere mille sensazioni, e per rimpiangere il passato, ora che una tremenda tristezza soffia tra i pini di quel magico posto. Oggi è tutto in disuso, diviso tra i vari eredi di colui che aveva dato vita a tutto, Don Gerardo.
Mille storie, mille lacrime, mille salti del cuore, ma una certezza: spesso le grandi storie vivono ancora vicino a noi, e non dobbiamo dimenticarle mai.
Tonnellotto

martedì 13 maggio 2008

Viaggio nelle Fiandre


03.05.08



Fuori di quì c'è un incredibile grigiore.

Sembra che tutte le cose, nuvole comprese, concorrano a dipingere l'ambiente che mi circonda a falsi colori, come se davvero le tinte della natura fossero contenute in dei barattoli che si sono - chissà perchè - esauriti.

Non è la prima volta che sento tutto questo. Quando ero ragazzino, ero convinto che l'altra faccia della vita, quella triste e negativa, spuntasse fuori quando il cielo diventava grigio.

Oggi conosco un'altra strada verso cui indirizzare il mio umore, in queste giornate. E' una strada che ho percorso tre volte finora, ed ognuna di queste ha significato per me la scoperta, volta per volta e istante per istante, di una parte del mio carattere di cui ignoravo l'esistenza.

L'ultima volta che l'ho percorsa, quella strada mi ha condotto nell'incantevole città di Anversa (Antwerpen, in lingua fiamminga), ed è stato lì che l'ultima parte di me è venuta fuori.

La città è facilmente raggiungibile da qualsiasi punto del Belgio e dei Paesi Bassi, principalmente perchè le autostrade assolvono al loro compito senza rancore, e poi perchè, sdraiate sull'immensa e rilassante campagna belga, sembra che davvero non si stanchino di farsi attraversare da un cospicuo flusso di automobili, secondo in Europa solo a quello della regione industriale tedesca della Ruhr.

Il peso della storia, da quelle parti, è considerevole: gli stessi alberi che ho ammirato io arrivando là, li scelse Napoleone Bonaparte per far riposare il suo esercito in vista del capitolo conclusivo della sua storia (che ebbe luogo a Waterloo, circa 70 km da quì guidando verso sud, in direzione di Bruxelles), le stesse tinte di verde su cui si è riposato il mio occhio rilassano e calmano, da secoli, gli abitanti di Leuven e delle altre centinaia di splendide cittadine fiamminghe.




Le due foto che vedete quì sopra si riferiscono alla piazza principale di Anversa, la Grote Markt (la piazza del "Gran Mercato", in fiammingo). Ad essere sinceri, non credo si svolga più il mercato da queste parti, e le uniche cose che sono in vendita sono i cibi e le bevande serviti dai numerosi "cafè" (o "cafetaria", come li chiamano da quelle parti) e ristoranti che erano intorno a me.

Gli odori e i sapori sono, però, soltanto il corollario di un sentimento più grande, che è riuscito a cambiarmi: la certezza di non avere più bisogno di confini.

La Grote Markt ospita, sulla facciata della Raadhuis (il palazzo del comune), le bandiere di tutti gli Stati membri dell'Unicef.

La vista di tutto questo era solo la conferma di un sentore che già avevo, almeno da quando ero entrato in città poche ore prima: cartelloni pubblicitari, vecchi e nuovi, che reclamizzavano in fiammingo qualunque cosa; strade di periferia - appartenenti al cosidetto Ring, cioè l'anello stradale che congiunge tutte le direttrici da e per la città - che somigliavano alle molte vie di Milano in cui hanno sede i grandi gruppi industriali, le stesse vie in cui da ragazzino accompagnavo per mano mio padre in cerca di lavoro; case di periferia in eleganti e tristi mattoncini bordeaux, costruite senza la paura che un terremoto, un giorno, magari come è già successo da noi, potesse distruggerle; case di città in prossimità del centro, con ingressi molto stretti, l'uno di fianco all'altro, troppo nuove per ricordarsi del passato, addossate una all'altra, come nelle strade di ordinaria vita parigina o in quelle aristocratiche di South Kensington a Londra; infine tante lingue, tante etnie, migliaia di sorrisi e altrettante speranze, queste ultime mescolatesi tra loro nelle piovose Fiandre per regalarsi un futuro dignitoso che altrove, probabilmente, non avrebbero avuto.





Il fascino di Anversa, lo stesso di Amsterdam e di Maastricht, è proprio questo: sentire l'Europa, in alcuni angoli delle strade anche il Pianeta, che respira.

Credo di aver pianto, per questo. Mi sono sentito finalmente vivo, non più relegato in una località fisicamente e mentalmente minuscola, al centro del Mediterraneo, lontano dalla cultura e dalla civiltà - che ormai da tempo immemore hanno abbandonato il nostro Paese -, lontano dalle piste della vita e dal respiro dei popoli.

Un'amica mi ha scritto all'incirca queste parole: "Quando non sentirai più lo stimolo di fuggire, quando ti sentirai appagato dall'aria che respiri o da ogni cosa che osservi, quando il tuo cuore non ti farà più male... forse sarà arrivato il momento di restare".

La verità ?

Io sono un cittadino europeo, e grazie all'inglese posso farmi capire praticamente da chiunque, e quasi dovunque. Ogni posto, in virtù di questo, potrebbe essere la mia casa, ma ovviamente non è solo una questione di comprensione. Più che altro, è una questione di cuore.

Ed è stato là, a contatto con l'atmosfera di un ristorante portoghese, passeggiando tra gente di mille culture, lingue e Paesi, inebriato dagli odori delle cucine di tutti gli angoli del globo, estasiato dai sapori dei tipici Wafer belgi, delle patatine fritte con curry e maionese vendute dalle tavole calde turche e dei cioccolatini preparati e dipinti a mano dagli artigiani, meravigliato dal luccichio dei negozi di diamanti di proprietà degli ebrei, colpito dal vero profumo dell'Europa e disorientato dalla bellezza delle ragazze del posto, che il mio cuore ha smesso di far male...



Tonnellotto

sabato 10 maggio 2008

Puglia >> Calabria Solo Ritorno (e meno male !)


Ne volete sapere un'altra ?
Un'altra che dipinge il nostro Paese sempre più come un'Italietta, piccola piccola ?
E allora lascio la parola, anzi, la tastiera, al mio amico Pierluigi, che ha qualcosa da dire a proposito di un viaggio Lecce-Rogliano, di ritorno da un raduno degli scout.
Divertitevi...
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"La mafia in Calabria non esiste… come non esiste la sfortuna che ci ha accompagnati… mettetevi comodi, leggete… e poi ditemi cosa ne pensate.
In questa pagina vi racconto il viaggio di ritorno di 3 calabresi che un giorno decisero di andare a fare il Cfm (raduno di scout, ndF) in Puglia: Michele, Piero, Francesco.
Finito il campo, lacrime, baci e abbracci. L’allegra combriccola formata da noi 3 calabresi più Federica, Caterina, Paola, Maria Pia, Flavia, Sergio e Davide si dirige alla stazione di Campi; in particolare Piero (l'autore, ndF), Antonio e Michele essendo oltremodo ignari di quello che li aspettava.
Innanzitutto c’è da precisare che tutto il viaggio sarebbe stato all’insegna dell’allegria e della spensieratezza !
Beh, bugia colossale: appena ci siamo divisi siamo subito stati assaliti dal magone… Sembrava di andare ad un funerale !
Giunti alla stazione di Campi ci viene detto che il treno viaggia con un pò di RITARDO (20 minuti, ma sono bazzecole per le nostre latitudini... in Olanda ci sarebbe stato l'intero rimborso del biglietto per un COLOSSALE ritardo del genere, ma da noi... noi crediamo ancora di non avere bisogno della civiltà !).
Prendiamo il treno, e a Lecce saliamo al volo sulla coincidenza per Bari. A Brindisi lasciamo le nostre compagne di viaggio che proseguono per Bari. Saliamo sul treno per Bari e siamo già a tre mezzi cambiati in nemmeno 50 km… cominciamo alla grande !!!!!
Facciamo un altro biglietto a Taranto, dove lasciamo Davide, accolto in stazione dalla moglie e dalle figliolette gemelle (e mi verrebbe da pensare alla scena in cui il soldato italiano torna dalla campagna di Russia e viene accolto dalla famiglia alla stazione... ma nella nostra storia quel "soldato" era andato soltanto a Lecce...), e Sergio, che solo soletto deve raggiungere Eboli (dove anche Fastweb pare si sia fermata).
Restiamo in 3; prendiamo un treno che dovrebbe portarci a Sibari…
Attenti ora, perché comincia la festa ! Il capo treno ci dice che a Metaponto bisogna scendere e prendere un pullman che porta direttamente e Sibari. Pensiamo: ”che seccatura il fatto di dover scendere e risistemare gli zaini !”. Come da programma si scende a Metaponto, ma subito notiamo di essere troppi per entrare nei due pullman messi a disposizione da Trenitalia.
Dopo una mezz’ora di discussione a terra per decidere se sia il caso di chiamare un altro pullman o meno, si azzardano ipotesi di natura fantasiosa sull’esito del nostro viaggio !
Addirittura, un impiegato delle ferrovie se ne esce con la seguente sparata: ”gli scout li facciamo mettere sul tetto”.
Allora noi cerchiamo di sorridere, cerchiamo di stare calmi mentre il sangue bussa insistentemente al portone del cervello e gonfia quella grossa vena che ci attraversa la fronte.
Oltretutto, come dimenticare che l'odore fisico nostro, quello umano, comincia ad assomigliare a quello di una carogna ?
Intanto il tempo passa e tutti si rendono conto che la coincidenza delle 17.10 da Sibari è già un miraggio. Ci infiliamo nei due pullman, con gente a terra, bivacchi nello stretto corridoio, e altre scene irripetibili: mancava solo che passasse la protezione civile a distribuire acqua e coperte !
Ma dire che questo benedetto pullman era in cattive condizioni è un eufemismo !
Comincia a piovere dentro al pullman, i cui finestrini sono praticamente inesistenti.
Scoppia una lite tra due signore: una vuole che si spenga l’aria condizionata perché sente freddo, l’altra invece dice di averne bisogno perché soffre di pressione bassa e di mal d’auto.
Partono subito le scommesse in un piccolo punto Snai allestito per l’occasione nella toilette del pullman, con lo scopo di guadagnarci dei soldi, almeno qualche spicciolo, da tutto questo.
Ma la signora che vuole il condizionatore spento ha l’appoggio del pubblico: maggioranza bulgara, mi dispiace per la correttezza delle scommesse... ma i soldi non saranno restituiti !
L’autista viene costretto a spegnere l’aria condizionata. Quando sembra tornata la quiete, la signora sconfitta ha la pessima idea di affermare: ”meno male che almeno le valige sono a posto”. Nemmeno il tempo di chiudere la bocca: pem !!!
Vola una valigia dal bagagliaio, di proprietà di un ragazzo che poi abbiamo scoperto essere uno scout del Taranto 5 (Davide, lo vedi che i corvi neri colpiscono anche dopo esser stati sciolti ??).
Scende l’autista, recupera la valigia e ci rimettiamo in viaggio.
Pensate sia finita quì ? Vi sbagliate di grosso…
Il pullman si ferma e vediamo che il capo treno, il quale ovviamente viaggia con noi, scende dal pullman in puro stile da centometrista…
Lo vediamo correre in mezzo alla strada per recuperare uno dei due tergicristalli che, nel frattempo, forse bisognoso di attenzione, aveva pensato bene di smontarsi e di cedere...
Spettacolo !!
Arriviamo a Sibari alle 17.40 anziché alle 16.30 come da orario (dettagli, puri e semplici dettagli...).
Là troviamo fortunatamente un treno per Cosenza, alle 18.00, e lo prendiamo. Decidiamo di riposare un po il cervelo e rifocillarci col sacchetto che i capi dello staff ci hanno amorevolmente dato prima di partire. In tutto, due panini al tonno e manzo e una mela (che nel frattempo era diventato succo di mela, per via degli urti e dello sballottamento).
Comunque a Castiglione Cosentino perdiamo un altro pezzo della compagnia: Antonio scende e prende un treno per Paola, dove dovrà aspettare un quarto d’ora per prenderne un altro fino a Reggio Calabria.
Noi nel frattempo giungiamo a Cosenza.
La figura del papà di Michele si staglia in lontananza. Io mi inginocchio e gli bacio la mano come si fa col papa.
Non è un miracolo, ma ci siamo quasi, dato che siamo arrivati…
Ora manca solo il viaggio fino a Rogliano, fino a quella vasca da bagno e quel letto che desidero più di ogni altra cosa al mondo. Sistemiamo gli zaini e ci infiliamo in macchina.
Ma... BRR BRR BRR, e la macchina non parte !
Spettacolo al quadrato...
Spingiamo e la macchina riparte. Intanto la sfortuna non risparmia nemmeno Antonio, che a Paola scopre che il suo treno viaggia con 50 minuti di ritardo ed ha anche entrambi i telefonini scarichi. Arrivati a S. Stefano di Rogliano ci fermiamo dall’elettrauto.
Con la testa grande come un pallone sonda, le uniche cose che sento uscire dalla bocca dell’uomo in tuta blu e gialla sono: ”Mi devi lasciare la macchina, devo cambiare la batteria”.
E come siamo tornati ? È la domanda che un po tutti vi starete ponendo, credo…
Risposta semplice: l’elettrauto ci da un passaggio ! Quindi, vai a togliere di nuovo gli zaini e risistemali nel bagagliaio dell’auto dell’elettrauto !!
Arrivo a casa mia alle 20.07.
Campi-Rogliano in 8 ore e 7 minuti: mi sembra accettabile !!!
Peccato che con lo stesso tempo, in aereo, se partissi da Lamezia Terme, arriverei a Toronto, in Canada !!
Certe cose ci accadono forse perché siamo stati prescelti.
Scusate, ma mi viene naturale dire: che culo !!!

E ora, ricapitoliamo i vari cambi e le varie disgrazie del pomeriggio del secolo:

Campi-Lecce > treno ferrovie Sud Est
Lecce-Brindisi > treno Trenitalia
Brindisi-Taranto > treno Trenitalia
Taranto-Metaponto > treno Trenitalia
Metaponto-Sibari > Pullman
Sibari-Cosenza > treno Trenitalia
Cosenza-S.Stefano > macchina papà di Michele
S.Stefano-Rogliano > macchina dell’elettrauto


Ora, giusto per completezza, metterò i numeri ad ogni avvenimento, cosi vi renderete conto di quante ne abbiamo dovute passare:

1) Ritardo treno ferrovie Sud Est (20 Minuti)
2) Scendere a Metaponto e prendere il pullman
3) Non bastano i posti sui pullman
4) Lite sul pullman
5) Piove nel pullman
6) Perdiamo una valigia
7) Perdiamo un tergicristallo
8) Perdiamo la coincidenza delle 17.10
9) Treno di Antonio per Reggio con 50 minuti di ritardo
10) Entrambi i cell di Antonio scarichi
11) Non parte la macchina
12) Dobbiamo lasciare la macchina dall’elettrauto

Grazie per l’attenzione...

A Presto !

Un abbraccio,
Pierluigi"

sabato 26 aprile 2008

GLI UOMINI PREFERISCONO LE BIONDE

GLI UOMINI PREFERISCONO LE BIONDE

Ecco un vecchio adagio.
Lo abbiamo ereditato da un film del 1953, "Gentlemen Prefere Blondes" ("Gli Uomini Preferiscono Le Bionde", appunto), diretto da Howard Hawks e interpretato da Jane Russell e dalla grande Marilyn Monroe.
Ma un film è un film, mentre un adagio, beh, deve essere comprovato, non credete ?
Io non gli ho mai dato molto credito, ma comunque mi chiedo cosa ci sia di vero.
Se avete voglia di seguirmi, proviamo insieme a vedere se l'adagio regge: scopriremo insieme delle cose davvero interessanti !!

Partiamo da un dato di fatto: la reputazione delle bionde.
Il 9 Agosto del 2001, negli Stati Uniti fu indetta un' insolita giornata di protesta: il "National Blonde Day", cioè la "Giornata Nazionale Delle Bionde". Come per molti altri avvenimenti di ideazione yankee, anche per questo qualcuno di voi nutrirà diffidenza o difficoltà ad accettarne le stranezze, ma entrare nella loro ottica, per noi, non è così facile come sembrerebbe. Una di queste stranezze consiste sicuramente nel fatto che la Metro Goldwyn Mayer (MGM) - la stessa di Tom & Jerry, per intenderci - abbia finanziato l'evento con lo scopo di ricavarne pubblicità per il film "Legally Blonde" (tradotto da noi in maniera, al solito, fantasiosa col titolo "La Rivincita Delle Bionde"), in cui compariva Reese Witherspoon, che usciva nelle sale in quei giorni. L'altra stranezza, forse più rimarchevole della prima, consiste nel fatto che la rivista Harvard Law Review, famosa testata di stampo legale pubblicata dalla Harvard University, abbia deciso di guardare all'evento col suo classico occhio autoritario, per farlo sembrare meno ridicolo. Ecco il punto: se persino una rivista di avvocati prova a difendere pubblicamente la causa delle bionde, beh, allora non vi rimane altro che ringraziare Dio, se siete ragazze, per avervi dato un colore di capelli diverso !

La situazione è così grave ? Pare di sì.
Nei Paesi Anglosassoni, la reputazione della donna bionda ha raggiunto i minimi storici. Un esempio ? Voi tutti sapete che gli Americani utilizzano un linguaggio fantasioso per descrivere alcuni aspetti della vita: infatti, per dire che hanno fatto una cosa stupida, dicono "I've had a blond moment", cioè "ho avuto un momento da bionda".
L'Università di Coventry si è addirittura scomodata per fare una ricerca, cercando di capire quanto sia radicata questa convinzione nella cultura moderna. Il dottor Cassidy, del Dipartimento di Psicologia, ha assunto una modella di 21 anni, l'ha fatta vestire in quattro modi diversi e le ha fatto indossare quattro tipi di parrucche diverse, ognuna con un colore differente: biondo naturale, biondo ossigenato, rosso e castano scuro (bruno).
Quindi, per ogni acconciatura ne ha ricavato una fotografia, mostrando gli scatti - a caso - ad un campione di persone e chiedendo loro di classificare le fotografie in base a caratteristiche quali il temperamento, la timidezza, l'intelligenza e l'aggressività.
Risultato ?
Per quanto riguarda l'intelligenza, cioè il parametro su cui il campione di persone si è focalizzato di più, la fotografia della bionda ossigenata è risultata quarta su 4, mentre la bionda naturale terza. In più si è scoperto che, agli occhi del campione, la ragazza bruna è risultata la più timida, mentre la bionda naturale la più procace. Il dottor Davis, dell'Università di Reading, ha commentato il risultato dicendo che una situazione simile è forse dovuta al fatto che la reputazione delle bionde è rovinata dalla miriade di battute e barzellette che circolano, le quali dipingono la ragazza bionda come tendenzialmente promiscua e stupida.

In effetti, di queste storie ne esistono diverse. Per esempio, c'è quella che dice che per far ridere una bionda il lunedì mattina bisogna raccontarle una barzelletta il venerdì pomeriggio.
Un' altra dice che in un supermercato c'è sempre una bionda che sta imbambolata davanti ai cartoni di succo d'arancia poichè su di essi c'è scritto"concentrato" (in inglese la battuta è resa meglio, poichè la parola "concentrate" non significa solo "concentrato", ma ha anche il significato di un imperativo, cioè "concentrati !").
La storiella più carina, però, secondo me è quest'altra:
"Una bionda si dirige verso un distributore automatico di Coca-Cola. Si ferma, inserisce una moneta e osserva la lattina saltare fuori. Tutta felice, corre a procurarsi altre monete. Una volta tornata al distributore, inserisce furiosamente le monete nella macchinetta, e una gran quantità di lattine inizia a saltare fuori. Dietro di lei, c'è un' altra persona che sta osservando quelle buffonate da una manciata di secondi.
Appena le chiede se sia possibile utilizzare la macchinetta, si sente rispondere: <Non lo vedi che sto vincendo ?>".
E allora ? Che ne dite, vale quell'adagio ?
PS ::: Senza offesa per le mie amiche bionde, ovviamente !!

Alla prossima,
Tonnellotto

giovedì 10 aprile 2008

2008 March Madness !!


Il basket dei College, una follia tutta americana !
di Stefano Semeraro - LA STAMPA 09.04.2008
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Marzo è il più pazzo dei mesi, aprile il più crudele. Lo dicono i proverbi. Lo sanno i poeti. Se non ne sei convinto, te lo spiegano quelli del basket universitario made in Usa. «March Madness», follia di marzo, si chiama l'impazzimento che coglie il maschio americano ogni primavera. Le femmine non c'entrano. E' roba di canestri, di palloni, di secondi spuntati sul cronometro: 64 college che si sfidano nel campionato Ncaa, sperando di arrivare in aprile alle Final Four, quelle original, con marchio depositato. Una epidemia che a livello di college fa impallidire football e baseball. Quaranta milioni di americani bloccati davanti alla tv. Trentasette milioni di partecipanti alle riffe aziendali sul campionato. Quest'anno una clinica specializzata in vasectomia offriva persino un pacchetto completo: venite ad operarvi da noi, e in convalescenza godetevi in santa pace a letto le Final Four. Un delirio, raddoppiato per l'occasione dal copione infartuante della finale. Lunedì sera, all'Alamodome di San Antonio (Texas) se la giocavano i Kansas Jayhawks ed i Memphis Tigers. I Tigers erano avanti 60-51 a 2 minuti e 12 secondi dalla sirena, sono riusciti a suicidarsi sbagliando 4 tiri liberi su 5 in 75 secondi e lasciando a Mario Chalmers - l'eroe di giornata - la tripla del pareggio a 2 secondi dalla fine. «Il tiro più importante nella storia di Kansas», secondo coach Bill Self. Ciuff, tempi supplementari, i Jayhawks che venti anni dopo i miracoli di Danny Manning rivincono il campionato per 75-68. Follia vera. Sangue pompato nel cuore dello sport universitario americano, che per molti conta di più, emoziona di più di quello dei professionisti. Del resto le franchigie delle quattro grandi leghe pro (baseball, football, basket e hockey) sono in tutto 122. Solo le squadre di basket iscritte alle varie «division» della Ncaa arrivano a 340. Occupano il territorio e i ricordi, mentre i pro pensano soprattutto ai grandi mercati tv lontani dall'anima. Esempio: a Memphis i Tigers e i Memphis Grizzlies della Nba dividono lo stesso impianto, ma quest'anno gli universitari hanno fatto più pubblico. Le franchigie pro cambiano nome e Stato seguendo il business. Il college non tradisce. Se sei stato studente il legame con l'Alma Mater è viscerale ed eterno. I giocatori passano, il college rimane. C'è sempre un parente che lavora lì, il figlio di un amico che ci studia. Qualcuno per cui vale la pena tirare fuori la macchina dal garage. Così anche se oggi l'Ncaa ai migliori serve soprattutto come trampolino per la Nba, la passione brucia. E la Cbs, che ha i diritti tv fino al 2014 e quest'anno ha trasmesso anche via web, gongola. Per evitare che i pro succhiassero il meglio direttamente dalle high-school (è successo per Kevin Garnett, Kobe Bryant, LeBron James) il limite per l'ammissione al «draft», alla «scelta» è stato elevato a 19 anni. Qualche magheggio rimane, ma dove ci si scanna è nel passaggio fra high-school e college. Non è possibile reclutare, offrire soldi agli atleti: solo borse di studio al merito, sportivo o altro, però in numero limitato. In alcuni periodi dell'anno agli allenatori è addirittura proibito parlare ai giocatori. C'è allora chi assume subdolamente come assistente il coach della high-school frequentata dal ragazzo a cui mira. Altri sono stati beccati la mattina in silenzio davanti alla casa dell'interessato con addosso la maglietta del college. Muti, ma eloquenti. A dare una mano (illegale) sono spesso gli «alunni», gli ex studenti, specie quelli ricchi. «Golden handshake», la chiamano, stretta di mano dorata: tu vieni da noi e io offro un lavoro estivo strapagato a te, o un impiego ai genitori. Senza contare che le donazioni ai college sono deducibili dalle tasse. Il miliardario T. Boone Pickers l'anno scorso ha versato 165 milioni di dollari ad Oklahoma State University ed è pronto a offrirne 6 a coach Bill Self per strapparlo alla University of Memphis. Del resto un buon team dà lustro. E vale oro. L'apparizione nelle Final Four del 2006 portò all'università di George Mason il doppio dei biglietti per le gare interne e il 350% in più di iscrizioni. Con quello che costano le rette (anche 45.000 dollari l'anno), molto più un calcolo che una follia...
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lunedì 24 marzo 2008

Graduation !!




>> March 5, 2008 <<

martedì 26 febbraio 2008

Appunti di viaggio

Il viaggio:

Domenica 27 Aprile 2008
Lamezia Terme > Koln/Bonn (AIRBERLIN)

Lunedì 5 Maggio 2008
Koln/Bonn > Catania (TUIfly)


Obiettivi:

Germania e Paesi Bassi.



Le 3 cose da non perdere:


1. Stazione di pompaggio di Wouda, Paesi Bassi



La più grande stazione di pompaggio con motori a vapore del mondo. Il 7 ottobre 1920 la regina Guglielmina inaugurò la stazione che aveva il compito di pompare all'esterno l'acqua in esubero presente nella Frisia. Nel 1967, dopo aver funzionato a carbone per 47 anni, le cisterne vennero modificate per poter utilizzare il petrolio. Dal 1998 l'ir. D.F. Woudagemaal fa parte dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Questo monumento dell'idraulica si trova a Lemmer, nella parte sud-ovest della Frisia.


















2. Duomo di Koln (Colonia)




Il nome ufficiale è chiesa dei Santi Pietro e Maria (in tedesco Hohe Domkirche St. Peter und Maria), con i suoi 157 metri di altezza è la seconda chiesa più alta della Germania (dopo il Duomo di Ulma, completato nel 1890) e la terza più alta al mondo. Dal 1880 al 1888 questa cattedrale è stata l'edificio più alto del mondo. È inoltre la maggiore attrattiva turistica della Germania: nel 2004 è stata visitata da circa 6 milioni di persone.










3. Koninginnedag 2008 (Festa della Regina 2008)





E' la festa del compleanno della Regina Beatrice (30 Aprile), ma è nota nel mondo ancora di più per il vrijmarkt e per l' oranjegekte. Il primo è un mercato speciale (vrijmarkt = mercato libero) messo in atto dagli stessi cittadini olandesi, che per quel giorno particolare non pagano tasse per ciò che vendono: vestiti autoconfezionati, disegni, biciclette, dolci, cappelli e una marea di altre cose sono esposte lungo le strade e su miriadi di tavolini, e c'è da dire che sulla loro vendita il governo non intasca, appunto, nemmeno 1 singolo euro. L'oranjegekte è il colpo d'occhio offerto dai festosi cittadini: ovunque si vedono tizi vestiti di arancione (ve lo siete mai chiesti il perchè di questo colore ? E' dovuto al fatto che la famiglia reale olandese è nota anche come Casa di Orange), donne e uomini che coi loro vestiti allegorizzano sulla regina, donne vestite normalmente e anche donne poco vestite, se il tempo è buono (stiamo parlando di un Paese talmente liberale da oltrepassare, certe volte, alcune regole non scritte in vigore da noi, che di liberale abbiamo ben poco)... E volete sapere un'altra cosa ? Per questo singolo giorno di festa nazionale, il governo concede 2 settimane di libertà ai propri dipendenti...







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Il mio quartier generale sarà la cittadina di Vaals, nel Limburgo




Auguratemi buon viaggio !!

sabato 23 febbraio 2008

Quando i fiumi si prosciugano... gli ingegneri rovesciano cemento (3)

Tratto da:
Fred Pearce, Un Pianeta Senz'Acqua
Il Saggiatore, © 2006






Le grandi dighe (compresa quella delle Tre Gole - nota come Three Gorges Dam - sullo Yangtze Kiang, cui si riferiscono tutte le immagini di questo post) oggi contengono fino a 7000 km cubi d'acqua. La maggior parte dei grandi sistemi fluviali del mondo, tra cui Yangtze Kiang, Rio delle Amazzoni, Orinoco, Gange, Brahmaputra, Zambesi, Amur, Jenisej e Indo, ospita dighe. I fiumi non ancora regolati scorrono nella tundra artica e nelle foreste dell'estremo nord. In fiumi come il Colorado, il Volta o il Nilo, le dighe riescono a immagazzinare il doppio o il triplo del volume che annualmente transita in alveo. I loro effetti idrologici, ecologici e sociali sono immensi: basti pensare che, fino agli anni '90, meno della metà delle dighe possedeva il documento di valutazione d'impatto ambientale prima dell'inizio dei lavori. E meno ancora avevano il consenso della gente, spesso costretta a trasferirsi per via della loro costruzione.









Da pochi anni si è cominciato a valutare seriamente se i benefici di uno sbarramento superino, negli effetti, le controindicazioni ecologiche, sociali ed economiche. Un fattore decisivo di questo cambio di atteggiamento è stato la Banca Mondiale. Si calcola che nella seconda metà del XX° secolo la banca abbia speso 75 miliardi di dollari per costruire dighe in 92 Paesi. Ma alla fine degli anni '80 le analisi del rapporto costi-benefici misero in discussione la convenienza di questi investimenti. Si registravano enormi aumenti dei costi rispetto ai preventivi, episodi di corruzione per miliardi di dollari, progetti inadeguati ed errori di natura idrologica che lasciavano vuoti gli invasi, turbine mai collegate alla rete nazionale e progetti d'irrigazione mai completati. Inoltre, si aggiunga che almeno 10 milioni di persone, all'inizio degli anni '80, erano già state costrette a trasferirsi. Sotto la pressione di un coro crescente di oppositori, la Banca ritirò i propri finanziamenti per una diga da realizzarsi sul fiume Narmada, in India. Non sapendo come procedere, la stessa Banca istituì una commissione mondiale sulle dighe (World Commission on Dams, WCD >> http://www.dams.org/), cui fu assegnato il compito di esaminare pregi e difetti degli sbarramenti più imponenti, al fine di stabilire alcune regole in base alle quali valutare l'efficienza di una diga.




Il rapporto conclusivo della WCD (http://www.dams.org/report/) fu presentato a Londra nel 2000, con grande pubblicità, sotto lo sguardo benevolo di Nelson Mandela e quello più rigido di James Wolfensohn, direttore della Banca Mondiale. Era ancora più critico verso le dighe di quanto ci si aspettasse: la maggior parte degli sbarramenti considerati non manteneva le promesse. In media, i costi finali superavano quelli preventivati di un abbondante 56%. Metà delle dighe a scopo idroelettrico produceva meno energia del previsto; il 66% delle dighe costruite per fornire acqua alle città ne distribuivano meno di quanto preventivato in sede progettuale (il 15% del totale, addirittura, forniva meno della metà del volume indicato dagli opuscoli informativi distribuiti per accattivarsi la futura utenza). E le dighe a scopo irriguo non andavano certo meglio: un quarto di esse irrigava meno del 35% della superficie prevista. Persino le dighe edificate per prevenire le inondazioni avevano aumentato la vulnerabilità agli eventi di piena delle comunità limitrofe, poichè i loro serbatoi venivano riempiti fino al livello di massimo invaso, al fine di aumentare la produzione di energia idroelettrica.


La commissione, inoltre, scoprì che almeno 80 milioni di abitanti delle campagne avevano, in tutto il mondo, perso le loro case, la loro terra e, di conseguenza, i loro mezzi di sostentamento. La diga di Akosombo sul fiume Volta, nel Ghana, aveva ad esempio provocato l'evacuazione di 80000 persone; quella più famosa di Assuan, in Egitto, aveva costretto al trasferimento circa 120000 persone, oltre a obbligare il governo a sobbarcarsi delle enormi spese per spostare i templi di Abu Simbel, che rischiavano di rimanere sommersi per via dell'innalzamento (di circa 62 metri) del livello del tirante in alveo. La lista degli spostamenti si protrarrebbe ancora a lungo, ma occorre fermarsi un attimo per capire che il problema è il seguente: per che cosa viene fatto tutto questo ? E' stato calcolato che la diga di Assuan, ad esempio, genera appena 5 kilowatt per ogni ettaro di terreno inondato, mentre quella di Akosombo scende fino a 0,9 kilowatt. Per non parlare dell'invaso di Brokopondo, nel Suriname: a regime siamo sui 0,2 kilowatt. Niente di più che una miseria.

La distruzione ecologica causata dalle dighe è stata oltremodo vasta. La commissione ha scoperto anche che, lungi dal rendere verde il deserto come promesso, molte dighe ne hanno favorito l'avanzata, prosciugando zone paludose e umide e rendendo i terreni sterili per via delle infiltrazioni saline. Il 25% dei terreni irrigati nel mondo, per lo più grazie alle dighe, è stato danneggiato dal sale. Intanto, l'accumulo di limo all'interno degli invasi ha diminuito di circa il 50% la capacità di un decimo delle dighe più datate. Bloccando il deflusso di limo lungo i fiumi, le dighe hanno ridotto la fertilità delle pianure alluvionali e provocato immancabilmente l'erosione delle sponde dei corsi d'acqua, dei delta che si allargano verso il mare e anche di alcuni tratti costieri più distanti. A causa delle dighe, le lagune costiere lungo il litorale dell'Africa Occidentale stanno scomparendo. Il crudele meccanismo causa-effetto ha appena iniziato a girare contro di noi... (fine)

Quando i fiumi si prosciugano... gli ingegneri rovesciano cemento (2)

Tratto da:
Fred Pearce, Un Pianeta Senz'Acqua
Il Saggiatore, © 2006




La moderna ingegneria idraulica nacque con la diga di Hoover costruita dal BuRec, la prima superdiga del mondo. Questo gigante lungo 220 metri, che attraversa il Boulder Canyon sul fiume Colorado, fu completato nel 1935. Era più alto di un edificio di 6 piani, più grande della piramide di Cheope in Egitto, e aveva richiesto una quantità di cemento sufficiente ad asfaltare un'autostrada da San Francisco a New York. Alle sue spalle si trova il Lake Mead, che poteva contenere più del doppio del volume totale che fluisce in un anno. Affermò in seguito Francis Crowe, supervisore del progetto per il BuRec: <<Ero entusiasta all'idea di costruire la diga, era la più grande del mondo, non aveva precedenti>>. Questo non era certo il linguaggio tecnico, ma forse era l'espressione più sincera delle vere cause che spinsero alla costruzione di dighe sul Colorado e nel resto del mondo.




Il cemento bianco della diga divenne un simbolo delle grandi opere pubbliche volute dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt, oltre che di un'ambizione più generale di modificare il paesaggio. Il progetto fu presto seguito da un altro talismano di questo genere, cioè la diga di Grand Coulee sul fiume Columbia. Queste dighe annunciarono il mondo del dopoguerra e divennero simboli di modernità, di sviluppo economico e del controllo dell'uomo sulla natura. Anche la Russia voleva la sua diga di Hoover, così come l'Egitto, il Giappone, la Cina e l'India; le dighe si diffusero in America Latina, e gli inglesi ne costruirono alcune nelle loro colonie, come regalo d'addio prima dell'indipendenza. Nessuna Nazione, a quanto pareva, poteva fare a meno di una diga.


<<Se si eccettua il riscaldamento globale, non esiste un'alterazione prodotta dall'uomo che abbia modificato così drasticamente il paesaggio negli ultimi 50 anni come la costruzione di dighe, la regolazione e la deviazione delle acque dei fiumi>> disse Beard ai manifestanti giapponesi. Non si vantava, si stava scusando: <<Coloro i quali hanno promosso la costruzione delle dighe non sono stati onesti sui loro costi ed i loro benefici. La verità è che questa gente direbbe qualsiasi cosa pur di far approvare un progetto>>. Le decisioni di costruire erano <<politiche, e andavano a beneficio esclusivo di alcuni politici o dei loro finanziatori, invece di risolvere dei problemi. Nella nostra esperienza al BuRec, i costi effettivi di una diga di solito superavano del 50% i preventivi iniziali. E il contributo reale all'economia nazionale garantito da queste opere era modesto in confronto ai possibili utilizzi alternativi dei fondi pubblici stanziati per realizzarle. Oggi spendiamo miliardi di dollari per correggere i loro effetti indesiderati, come la perdita di zone di pesca, la salinizzazione dei terreni a valle degli sbarramenti e l'inaridimento delle paludi>>. Secondo Beard, i fiumi in America valgono di più come risorse per la pesca e per il turismo che per l'acqua con cui vengono riempiti gli invasi.


Come Beard, gli ambientalisti attuali hanno iniziato a considerare le grandi dighe come fattori di distruzione ambientale. Ma non sempre è stato così. Per molti anni, i Verdi in Nordamerica ed in Europa hanno appoggiato i costruttori. Come oggi l'energia eolica, quella idroelettrica era un tempo considerata pulita e poco costosa. In Europa, la preoccupazione che le dighe potessero interferire con il corso di fiumi quali il Danubio, il Reno ed il Rodano era temperata dal timore che l'alternativa fosse rappresentata dall'inquinamento delle centrali alimentate a combustibile fossile.

In effetti le dighe producono un'enorme quantità di energia elettrica. Più di 60 Paesi ricavano dalle dighe oltre la metà della loro energia. Una diga a Itaipu, sul fiume Paranà, tra Brasile e Paraguay, genera 12600 megawatt, l'equivalente di una decina di centrali convenzionali a combustibile fossile. Tale diga rifornisce San Paolo e Rio de Janeiro, due megalopoli tra le più grandi al mondo. La diga cinese delle Tre Gole, sullo Yangtze Kiang, ne produrrà ancora di più. Molte dighe moderne svolgono una funzione duplice o triplice, fornendo anche acqua per l'irrigazione e per le città, e a volte viene loro attribuita anche la capacità di prevenire inondazioni. (continua)

Quando i fiumi si prosciugano... gli ingegneri rovesciano cemento (1)

Tratto da:

Fred Pearce, Un Pianeta Senz'Acqua

Il Saggiatore, © 2006

Faceva un'impressione piuttosto sconcertante. Daniel Beard (a lato), da poco ritiratosi dalla carica di commissario del Bureau Of Reclamation (BuRec), l'agenzia governativa americana che ha costruito più dighe di chiunque altro sul pianeta, indossava una t-shirt, e percorreva ad ampie falcate le strade di Nagaragawa, nel Giappone meridionale, alla testa di mille contestatori. Urlava: <<Basta con le dighe !>>.
La manifestazione era diretta verso lo sbarramento di cemento da poco completato sull'estuario del fiume Nagara. La storia del progetto era piuttosto insolita. Costato 1,7 miliardi di dollari, era stato ideato per rifornire d'acqua la città. Quando fu chiaro che il bisogno d'acqua non era così impellente, si trasformò in un progetto per prevenire le inondazioni. La vicenda lasciava trasparire il desiderio, apparentemente insaziabile, dei giapponesi di dar lavoro all'industria edilizia anche quando le costruzioni non sono necessarie. Beard non aveva dubbi sul fatto che lo sbarramento non avrebbe dovuto essere costruito. <<E' una delle dighe più orribili che abbia mai visto, e ne ho viste parecchie !>> annunciò agli altri manifestanti con un megafono gracchiante. <<Fornirà acqua di cui nessuno ha bisogno, probabilmente distruggerà un vivaio di salmoni su questo fiume meraviglioso e potrebbe aumentare il rischio di inondazioni !>>



La conversione pubblica di Beard alla causa antidighe era iniziata nel 1995. All'epoca era ancora in carica al BuRec, e presenziava in Sudafrica ad un incontro della Commissione Internazionale per le grandi dighe (ICOLD), un'associazione che riunisce i principali costruttori di dighe del pianeta. Un bel mattino, dichiarò agli attoniti membri dell'associazione <<L'epoca della costruzione di dighe negli Stati Uniti è finita>>. Che eresia. L'agenzia che aveva costruito la diga di Hoover sul fiume Colorado (foto a colori) e la Grand Coulee sul fiume Columbia (foto in bianco e nero), rispettivamente il maggior fornitore d'acqua ed il quinto produttore di energia idroelettrica degli Stati Uniti, che aveva gettato colate di cemento, pietre e terra su migliaia di fiumi, aveva smesso per sempre di costruire. Basta con le dighe.

Ma in Giappone, un Paese che ha dighe praticamente su ogni fiume, Beard si spinse oltre, fino a condannare un'industria globale in cui la sua agenzia aveva svolto un ruolo chiave. Si era schierato al fianco dei manifestanti giapponesi contrari allo sbarramento sul Nagara; si era schierato al fianco di Phil Williams, allora presidente dell'International Rivers Network, un arcinemico del BuRec, convinto che ogni diga sia un male; si era schierato al fianco di Dai Qing, ex ingegnere missilistica della Cina comunista, divenuta poi la più nota e coraggiosa avversaria della costruzioni di dighe nel suo Paese. Era, disse, fiero di manifestare insieme a coloro che in tutto il mondo contestavano le dighe. Inganno ? Illuminazione ? Le dighe hanno sempre suscitato passioni intense. Per usare una frase fatta, o si è con loro o si è contro di loro. (continua)

martedì 12 febbraio 2008

La storia di Marco




Voglio raccontarvi la storia di Marco.





Mentre è su un















si gira e vede una















Quasi se ne innamora, e pensa a quanto sarebbe emozionante un










Lei è seduta sull'altro lato dell'autobus,



ma Marco è troppo timido per sedersi vicino a lei.



Allora prende un











e le scrive una poesia:







Se potessi averti vicino,




Ti direi che sto pensando a te.




Se potessi guardarti,




Scoprirei di te ancora molte cose.




Se potessi parlarti,




Non sprecherei il mio fiato,




Perchè sfiorerei le tue labbra,




Se solo fossi accontentato.








Poi Marco si addormenta, e lascia il foglio accanto a sè.




Al suo risveglio, la ragazza non c'è più.




Là, dove sedeva lei, c'è un foglio, con su riportato:





Grazie.


Mi hai fatta sentire importante...


__


FATE LE VOSTRE CONSIDERAZIONI...


E BUON SAN VALENTINO !!




PS:::


Venerdì 15 Febbraio è la GIORNATA DEL RISPARMIO ENERGETICO.


Se volete continuare a vivere in un mondo dove poter dire alle vostre donne "Ti amo", fate come me: per un giorno, spegnete tutti i computer !!


http://www.radio.rai.it/radio2/caterueb2006/millumino/index.cfm