sabato 27 febbraio 2010

Viaggio a Isla Negra



El mar me pareció mas limpio que la tierra, por eso me vine a vivir en la costa de mi patria entre las grandes espumas de Isla Negra”.
Pablo Neruda

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Qualche asse di legno dipinta di azzurro, un paio di grandi vetrate ed è tutto quì. Ho viaggiato per quasi 10.000 km per capire che è la semplicità che mi sconvolge la vita. Dovrebbero scriverlo, a volte, sul biglietto dell'aereo: "non serve fare tanta strada per trovare quello che cerchi". Dodici lunghe ore d'aereo per rompere con un passato invadente e angusto, poi un paio d'ore di autobus, da Santiago fino a Quisco, nel cuore del Cile pensante. Non sono riuscito a coinvolgere nessun amico in questo viaggio. un pò per i soldi, un pò perchè tutti sembrano catturati dalle loro vite, e nessuno ha più la voglia o il coraggio di far respirare il cuore. La risposta più gettonata è stata "io non sono un tipo romantico come te", ma forse dicono così perchè non hanno più il coraggio di emozionarsi. Non ci riescono e non lo ammettono. Non ci voglio pensare. Ora, a dirla tutta, siamo soltanto io, la mia moleskin, e l'odore dell'Oceano che s'infrange sulla spiaggia. Io e la mia moleskin, e poi, non molto lontana da quì, la Patagonia. Sembra un immenso deja-vu: mi basterebbe solo incontrare un paio di tizi e scoprire che assomigliano a Chatwin e Sepùlveda, perchè questo pomeriggio non dev'essere molto diverso da quello in cui quei due si incontrarono in un caffè di Barcellona. Questo posto si chiama Isla Negra, e l'unica spiegazione che riesco a darmi è la seguente: visti tutti i colori che ci sono quì, bisognava dar risalto al nome giocando sul contrasto, e il colore negro andava benissimo. Negro como la noche, o come le facce dei campesinos che ogni tanto passano da quì.

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Già, ho fatto bene a nominarli. Vorrei che tutti gli amici a cui ho chiesto di seguirmi fossero stati con me sull'autobus dal quale sono sceso dieci minuti fa. L'aria era pesante, ma non per il caldo. Non c'è acqua quì per chi non ha soldi, e negli ambienti angusti si sente l'odore della sua mancanza. Il Cile è ancora il Paese dei rifugiati politici, delle caste e della povertà estrema, e anche se è raro vedere dei contadini, specialmente tra le villette turistiche che ornano questa costa, si sente ancora il pesante alitare del gigante dormiente, le Ande, dietro di noi, col suo bel carico di freddo, nefandezze e storie di povertà. E quando qualcuna di queste storie scende dalle montagne e te la ritrovi seduta accanto a te sull'autobus, come fai a ignorarla? Ho detto a me stesso che ho pagato il biglietto della vita, e voglio vedere tutto, senza ignorare niente. Questo agli amici non l'ho detto. Loro credono che sia partito per un viaggio di piacere, culturale o gastronomico, o per qualsiasi altro motivo strampalato che sono riusciti ad accoppiare al mio nome. La verità gliela dirà questa moleskin...

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Dedicherò al Cile di Pinochet altre pagine, ben più amare di questa. Ora sono fermo quì, in una strada che si chiama Poeta Neruda, in località Isla Negra, 100 km ad ovest di Santiago. Lo leggo da un cartello di legno dipinto di nero, con le lettere in bianco, e mi chiedo come resista alla salsedine. Cinquecento metri più in giù, ma non più di questo, c'è l'altro grande gigante dormiente di questo angolo del sud del mondo, l'Oceano. A dirla tutta, non penso che sia per niente Pacifico. E' incazzato. Forse avverte la presenza dello straniero ficcanaso, che imbratta le sue pagine e poi svela i segreti del posto...

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Sento rumori. Le assi di legno sembrano parlare. Eppure quì non c'è nessuno, solo io ed il vento. Mi chiedo a quanta gente passata da quì sarà sembrato di ascoltare la storia di questa casa, che sembra una barca di legno. Si dice che, al suo interno, ogni stanza sia arredata in modo diverso, con delle collezioni di navi dentro bottiglie di vetro, mappe e quant'altro possa ricordare il mare. Questa è la casa di Pablo Neruda, ma potevano anche metterci un cartello con su scritto "siamo stati noi l'ispirazione per Capitan Findus". Ci avrei riso su. E invece son quì che mi devasto, nel tentativo di capire come si sentirebbe una donna quì, come ci stava la moglie di Pablo, Matilde, e come si sentirebbe un'altra che non si chiama Matilde e che non ha un compagno che si chiama Pablo. Forse dovrei portarcela e basta. Senza pensare. Sperando che anche lei rimanga inebriata dall'odore del mare che sale sulla collinetta e che, sfiorando il tuo naso, ti fa capire che non bastano cento vite per scoprire quanto sia bella una...

domenica 14 febbraio 2010

"Voglio fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi"


Le do la mano mentre risaliamo questo spettacolare scorcio di scalinata, nell'unico momento della giornata in cui l'isola può respirare. Le avevo promesso che avremmo evitato tutte le banalità, tutte le frasi fatte ed i viaggi pronti, perchè ho litigato da piccolo con le etichette. Ed eccoci quì, silenti e raggianti, a prendere parte ad un evento che accade in ogni sera delle nostre giornate, ma molto raramente nelle nostre anime. Il sole va giù ed incendia l'orizzonte, di fronte alle coste frastagliate di Santorini, e noi avanziamo verso lo spettacolo tenendoci per mano, arrancando sulla gradinata trasportati solo dalle nostre umili ciabatte e dalla nostra voglia di immenso. Il cielo è grande sopra di noi, e collega tempi e spazi infiniti, futuri e passati reali, alternativi o sognati, genti mai conosciute e genti che verranno. La sua pelle è liscia e riflette l'eco della stella che non c'è più, e pare morbida, profumata, immensa come le venature rosso fuoco che si stemperano nel blu della notte che incombe. Sono stati giorni molto semplici questi: solo ciabatte lavorate a mano, comodi costumi, qualche libro e migliaia di pensieri scagliati contro il cielo, come a voler ricordare a noi stessi che esistiamo a prescindere da tutto ciò che è materiale. Sento la sua mano stringere forte la mia, a voler significare che si fida del regista di tutto questo, e allora, appena arrivati in cima, ci sediamo a cavalcioni sul muretto bianco che delimita la strada, e parte l'incanto. Tra tutti coloro che vorrei fossero con me, o coloro che vorrei essere in questo momento, nessuno eguaglia la mia persona, ma mi trovo costretto a prendere in prestito le parole di Pablo Neruda, un uomo che ha respirato sogni, difficoltà ed aria d'oceano, per tirare fuori, anche se solo con gli occhi, tutto ciò che ho dentro. Perché tu possa ascoltarmi le mie parole si fanno sottili, a volte, come impronte di gabbiani sulla spiaggia*.
Le si dilatano le pupille, lo sguardo le si fa serio, tremante, eccitato e forse anche impaurito, perchè è vero che quando i momenti che viviamo sono importanti, non sappiamo mai quale espressione tenere, e quindi le proviamo tutte. Non assomigli più a nessuna da quando ti amo*.
Voglio fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi*, e farti sbocciare, vivere, rivivere, stancarti, rifocillarti, sognarti, desiderarti, farti piangere, sorridere, dipingerti, colorarti, descriverti, assuefarti a me, o forse più banalmente voglio amarti. Non importa questo posto, nè queste ciabatte, nè la gente che ci sta intorno, nè il fuoco sulla spiaggia di queste notti. Importa il tempo, importa il modo, importa la luce nei tuoi occhi, importano le tue labbra soffici e tremanti, importa il vento tra i tuoi capelli.
Importa il fatto che se non fossi quì, ti verrei a cercare in mezzo ai ciliegi...
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* da Pablo Neruda, Venti poesie d'amore e una canzone disperata, traduzione di Roberta Bovaia, Guanda.