sabato 24 maggio 2008

Ritorno a Villa Felice


Stasera sono tornato a Villa Felice.
L'ultima volta che ci sono stato, non sospettavo che la vita potesse riservare sorprese, alcune delle quali sono delle delusioni abilmente camuffate. Villa Felice, l'anima di Sant'Angelo di Drapia, ha chiuso i propri cancelli ufficialmente nel luglio del 1996.
Per anni, il suo Ostello della Gioventù è stato la casa di giovani vacanzieri durante l'estate, e di centinaia di ragazzi provenienti da tutte le zone della Calabria, e dalle famiglie più disastrate, durante l'inverno. Negli occhi dei ragazzi che trascorrevano interi anni scolastici a Sant'Angelo, protetti da una coltre di durezza e - a volte - bullismo che serviva a celare caratteri fragili ed impauriti, si poteva leggere la sofferenza che essi provavano per essere orfani di un genitore, per avere un genitore in carcere o un fratello drogato, per non poter più vedere madre e padre insieme, come facessero ancora parte di un'unica famiglia, la loro, e per non poter, in fondo, vivere con la speranza che i sogni si avverino, come fanno tutti i ragazzini fortunati.
Fortunati, i ragazzi di Villa Felice non lo erano per davvero. Alcuni di loro, benchè non ne avessero la minima colpa, avevano già, all'età di 10-12 anni, qualcosa da farsi perdonare, qualche conto da saldare con una vita che per loro era iniziata col piede sbagliato. Noi alunni della scuola elementare di Gasponi li temevamo. Spesso facevano i duri con noi, i prepotenti, ma io, personalmente, dovetti arrivare fino in quarta elementare per capire che la loro aggressività era una strategia di difesa, attuata nei confronti di un mondo che li aveva traditi, e del quale, chissà, forse non si sarebbero mai più fidati.
Nel giugno del 1994 fummo uniti a loro nella preparazione di una recita di fine anno scolastico. Io avrei svolto il ruolo di presentatore per la parte affidata ai bambini della scuola materna, mentre sarei stato il famoso Lawrence d'Arabia in quella parte di recita affidata ai più grandi. Avevamo provato poche volte insieme, e così quello che scoprii la sera della recita fu un'autentica sorpresa, la prima sorpresa positiva della mia vita. Avevo 10 anni.
Sul palco, mentre recitavo e mi muovevo, c'erano anche loro di fianco a me, i ragazzi di Villa Felice, tutti con ruoli secondari, ma con occhi che brillavano di stupore e gioia perchè - ora ne sono sicuro - si sentivano finalmente parte di un qualcosa di reale, che si andava trasformando in magico proprio davanti a loro. E per una sera, avendo dimenticato i loro problemi, la delusione di essere stati "abbandonati" in un istituto educativo, il dolore che provavano per essere stati strappati ai giochi ed agli amici, agli affetti ed alla fantasia, erano tornati bambini. Per loro, durante le due ore della nostra recita, sperare di avere una vita migliore non deve essere affatto sembrata un'utopia. Quella è stata la sera migliore della mia vita: ho potuto vedere con i miei occhi cosa significa tornare a sperare, e ringrazio Dio per avermelo concesso.
Poche ore fa, dicevo, ho rivisto i luoghi di Villa Felice: le scale di lato alla chiesa che vedete nella foto sopra, il piazzale dove mio padre mi portava a giocare a tennis con quella sua racchetta di legno e quelle sue palline consumate (una delle quali fu regalata, ricordo, ad un ragazzo che si era arrampicato su una staccionata per recuperarla, dopo che noi l'avevamo persa; un ragazzo probabilmente orfano - Villa Felice ne ospitava alcuni - aveva visto un padre ed un figlio giocare insieme, ed allora aveva voluto dare il suo contributo a quel momento di gioia, forse conscio di quello che significavano ai suoi occhi le scene che stava osservando), la bellissima piscina col fondo in plastica azzurra, le scuole elementari frequentate dai ragazzi, e poi l'Ostello, dove nel 1982 entrò persino papa Carol Wojtyla, e dove i miei genitori spesso mi accompagnavano, la domenica sera, alle messe di Don Florio (che ha avuto il grande merito, a Villa Felice, di cercare sempre di coinvolgere i ragazzi che aveva davanti, facendoli sentire importanti).
Poi ho rivisto Rita. E' una suora oblata che ha avuto il coraggio di lasciare la propria famiglia benestante, in quel di Roma, per scendere in Calabria, nella difficile Calabria di 35 anni fa, e dedicare tutta una vita ai ragazzi meno fortunati. Una missione che dura una vita. Salutandomi, stasera, ha risvegliato in me tutte le emozioni andate, quelle delle mie giornate trascorse a Villa Felice, emozioni genuine, che sembrano scomparire quando la vita si fa più difficile, ma che ogni tanto si avverte il bisogno di ricordare. Rita vive nella povertà materiale, ma la sua ricchezza, cioè la sua saggezza, il suo essere stata disponibile, comprensiva e d'aiuto per quei ragazzi, non può passare in secondo piano, nè può essere dimenticata, poichè è merce assai rara sulla Terra. I ragazzi di Villa Felice che l'hanno conosciuta, dovunque essi siano in questo momento, non potranno che ricordarla con viva gioia.
Solo dieci minuti a Villa Felice, ma abbastanza per ricordare mille storie, per rivivere mille sensazioni, e per rimpiangere il passato, ora che una tremenda tristezza soffia tra i pini di quel magico posto. Oggi è tutto in disuso, diviso tra i vari eredi di colui che aveva dato vita a tutto, Don Gerardo.
Mille storie, mille lacrime, mille salti del cuore, ma una certezza: spesso le grandi storie vivono ancora vicino a noi, e non dobbiamo dimenticarle mai.
Tonnellotto

martedì 13 maggio 2008

Viaggio nelle Fiandre


03.05.08



Fuori di quì c'è un incredibile grigiore.

Sembra che tutte le cose, nuvole comprese, concorrano a dipingere l'ambiente che mi circonda a falsi colori, come se davvero le tinte della natura fossero contenute in dei barattoli che si sono - chissà perchè - esauriti.

Non è la prima volta che sento tutto questo. Quando ero ragazzino, ero convinto che l'altra faccia della vita, quella triste e negativa, spuntasse fuori quando il cielo diventava grigio.

Oggi conosco un'altra strada verso cui indirizzare il mio umore, in queste giornate. E' una strada che ho percorso tre volte finora, ed ognuna di queste ha significato per me la scoperta, volta per volta e istante per istante, di una parte del mio carattere di cui ignoravo l'esistenza.

L'ultima volta che l'ho percorsa, quella strada mi ha condotto nell'incantevole città di Anversa (Antwerpen, in lingua fiamminga), ed è stato lì che l'ultima parte di me è venuta fuori.

La città è facilmente raggiungibile da qualsiasi punto del Belgio e dei Paesi Bassi, principalmente perchè le autostrade assolvono al loro compito senza rancore, e poi perchè, sdraiate sull'immensa e rilassante campagna belga, sembra che davvero non si stanchino di farsi attraversare da un cospicuo flusso di automobili, secondo in Europa solo a quello della regione industriale tedesca della Ruhr.

Il peso della storia, da quelle parti, è considerevole: gli stessi alberi che ho ammirato io arrivando là, li scelse Napoleone Bonaparte per far riposare il suo esercito in vista del capitolo conclusivo della sua storia (che ebbe luogo a Waterloo, circa 70 km da quì guidando verso sud, in direzione di Bruxelles), le stesse tinte di verde su cui si è riposato il mio occhio rilassano e calmano, da secoli, gli abitanti di Leuven e delle altre centinaia di splendide cittadine fiamminghe.




Le due foto che vedete quì sopra si riferiscono alla piazza principale di Anversa, la Grote Markt (la piazza del "Gran Mercato", in fiammingo). Ad essere sinceri, non credo si svolga più il mercato da queste parti, e le uniche cose che sono in vendita sono i cibi e le bevande serviti dai numerosi "cafè" (o "cafetaria", come li chiamano da quelle parti) e ristoranti che erano intorno a me.

Gli odori e i sapori sono, però, soltanto il corollario di un sentimento più grande, che è riuscito a cambiarmi: la certezza di non avere più bisogno di confini.

La Grote Markt ospita, sulla facciata della Raadhuis (il palazzo del comune), le bandiere di tutti gli Stati membri dell'Unicef.

La vista di tutto questo era solo la conferma di un sentore che già avevo, almeno da quando ero entrato in città poche ore prima: cartelloni pubblicitari, vecchi e nuovi, che reclamizzavano in fiammingo qualunque cosa; strade di periferia - appartenenti al cosidetto Ring, cioè l'anello stradale che congiunge tutte le direttrici da e per la città - che somigliavano alle molte vie di Milano in cui hanno sede i grandi gruppi industriali, le stesse vie in cui da ragazzino accompagnavo per mano mio padre in cerca di lavoro; case di periferia in eleganti e tristi mattoncini bordeaux, costruite senza la paura che un terremoto, un giorno, magari come è già successo da noi, potesse distruggerle; case di città in prossimità del centro, con ingressi molto stretti, l'uno di fianco all'altro, troppo nuove per ricordarsi del passato, addossate una all'altra, come nelle strade di ordinaria vita parigina o in quelle aristocratiche di South Kensington a Londra; infine tante lingue, tante etnie, migliaia di sorrisi e altrettante speranze, queste ultime mescolatesi tra loro nelle piovose Fiandre per regalarsi un futuro dignitoso che altrove, probabilmente, non avrebbero avuto.





Il fascino di Anversa, lo stesso di Amsterdam e di Maastricht, è proprio questo: sentire l'Europa, in alcuni angoli delle strade anche il Pianeta, che respira.

Credo di aver pianto, per questo. Mi sono sentito finalmente vivo, non più relegato in una località fisicamente e mentalmente minuscola, al centro del Mediterraneo, lontano dalla cultura e dalla civiltà - che ormai da tempo immemore hanno abbandonato il nostro Paese -, lontano dalle piste della vita e dal respiro dei popoli.

Un'amica mi ha scritto all'incirca queste parole: "Quando non sentirai più lo stimolo di fuggire, quando ti sentirai appagato dall'aria che respiri o da ogni cosa che osservi, quando il tuo cuore non ti farà più male... forse sarà arrivato il momento di restare".

La verità ?

Io sono un cittadino europeo, e grazie all'inglese posso farmi capire praticamente da chiunque, e quasi dovunque. Ogni posto, in virtù di questo, potrebbe essere la mia casa, ma ovviamente non è solo una questione di comprensione. Più che altro, è una questione di cuore.

Ed è stato là, a contatto con l'atmosfera di un ristorante portoghese, passeggiando tra gente di mille culture, lingue e Paesi, inebriato dagli odori delle cucine di tutti gli angoli del globo, estasiato dai sapori dei tipici Wafer belgi, delle patatine fritte con curry e maionese vendute dalle tavole calde turche e dei cioccolatini preparati e dipinti a mano dagli artigiani, meravigliato dal luccichio dei negozi di diamanti di proprietà degli ebrei, colpito dal vero profumo dell'Europa e disorientato dalla bellezza delle ragazze del posto, che il mio cuore ha smesso di far male...



Tonnellotto

sabato 10 maggio 2008

Puglia >> Calabria Solo Ritorno (e meno male !)


Ne volete sapere un'altra ?
Un'altra che dipinge il nostro Paese sempre più come un'Italietta, piccola piccola ?
E allora lascio la parola, anzi, la tastiera, al mio amico Pierluigi, che ha qualcosa da dire a proposito di un viaggio Lecce-Rogliano, di ritorno da un raduno degli scout.
Divertitevi...
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"La mafia in Calabria non esiste… come non esiste la sfortuna che ci ha accompagnati… mettetevi comodi, leggete… e poi ditemi cosa ne pensate.
In questa pagina vi racconto il viaggio di ritorno di 3 calabresi che un giorno decisero di andare a fare il Cfm (raduno di scout, ndF) in Puglia: Michele, Piero, Francesco.
Finito il campo, lacrime, baci e abbracci. L’allegra combriccola formata da noi 3 calabresi più Federica, Caterina, Paola, Maria Pia, Flavia, Sergio e Davide si dirige alla stazione di Campi; in particolare Piero (l'autore, ndF), Antonio e Michele essendo oltremodo ignari di quello che li aspettava.
Innanzitutto c’è da precisare che tutto il viaggio sarebbe stato all’insegna dell’allegria e della spensieratezza !
Beh, bugia colossale: appena ci siamo divisi siamo subito stati assaliti dal magone… Sembrava di andare ad un funerale !
Giunti alla stazione di Campi ci viene detto che il treno viaggia con un pò di RITARDO (20 minuti, ma sono bazzecole per le nostre latitudini... in Olanda ci sarebbe stato l'intero rimborso del biglietto per un COLOSSALE ritardo del genere, ma da noi... noi crediamo ancora di non avere bisogno della civiltà !).
Prendiamo il treno, e a Lecce saliamo al volo sulla coincidenza per Bari. A Brindisi lasciamo le nostre compagne di viaggio che proseguono per Bari. Saliamo sul treno per Bari e siamo già a tre mezzi cambiati in nemmeno 50 km… cominciamo alla grande !!!!!
Facciamo un altro biglietto a Taranto, dove lasciamo Davide, accolto in stazione dalla moglie e dalle figliolette gemelle (e mi verrebbe da pensare alla scena in cui il soldato italiano torna dalla campagna di Russia e viene accolto dalla famiglia alla stazione... ma nella nostra storia quel "soldato" era andato soltanto a Lecce...), e Sergio, che solo soletto deve raggiungere Eboli (dove anche Fastweb pare si sia fermata).
Restiamo in 3; prendiamo un treno che dovrebbe portarci a Sibari…
Attenti ora, perché comincia la festa ! Il capo treno ci dice che a Metaponto bisogna scendere e prendere un pullman che porta direttamente e Sibari. Pensiamo: ”che seccatura il fatto di dover scendere e risistemare gli zaini !”. Come da programma si scende a Metaponto, ma subito notiamo di essere troppi per entrare nei due pullman messi a disposizione da Trenitalia.
Dopo una mezz’ora di discussione a terra per decidere se sia il caso di chiamare un altro pullman o meno, si azzardano ipotesi di natura fantasiosa sull’esito del nostro viaggio !
Addirittura, un impiegato delle ferrovie se ne esce con la seguente sparata: ”gli scout li facciamo mettere sul tetto”.
Allora noi cerchiamo di sorridere, cerchiamo di stare calmi mentre il sangue bussa insistentemente al portone del cervello e gonfia quella grossa vena che ci attraversa la fronte.
Oltretutto, come dimenticare che l'odore fisico nostro, quello umano, comincia ad assomigliare a quello di una carogna ?
Intanto il tempo passa e tutti si rendono conto che la coincidenza delle 17.10 da Sibari è già un miraggio. Ci infiliamo nei due pullman, con gente a terra, bivacchi nello stretto corridoio, e altre scene irripetibili: mancava solo che passasse la protezione civile a distribuire acqua e coperte !
Ma dire che questo benedetto pullman era in cattive condizioni è un eufemismo !
Comincia a piovere dentro al pullman, i cui finestrini sono praticamente inesistenti.
Scoppia una lite tra due signore: una vuole che si spenga l’aria condizionata perché sente freddo, l’altra invece dice di averne bisogno perché soffre di pressione bassa e di mal d’auto.
Partono subito le scommesse in un piccolo punto Snai allestito per l’occasione nella toilette del pullman, con lo scopo di guadagnarci dei soldi, almeno qualche spicciolo, da tutto questo.
Ma la signora che vuole il condizionatore spento ha l’appoggio del pubblico: maggioranza bulgara, mi dispiace per la correttezza delle scommesse... ma i soldi non saranno restituiti !
L’autista viene costretto a spegnere l’aria condizionata. Quando sembra tornata la quiete, la signora sconfitta ha la pessima idea di affermare: ”meno male che almeno le valige sono a posto”. Nemmeno il tempo di chiudere la bocca: pem !!!
Vola una valigia dal bagagliaio, di proprietà di un ragazzo che poi abbiamo scoperto essere uno scout del Taranto 5 (Davide, lo vedi che i corvi neri colpiscono anche dopo esser stati sciolti ??).
Scende l’autista, recupera la valigia e ci rimettiamo in viaggio.
Pensate sia finita quì ? Vi sbagliate di grosso…
Il pullman si ferma e vediamo che il capo treno, il quale ovviamente viaggia con noi, scende dal pullman in puro stile da centometrista…
Lo vediamo correre in mezzo alla strada per recuperare uno dei due tergicristalli che, nel frattempo, forse bisognoso di attenzione, aveva pensato bene di smontarsi e di cedere...
Spettacolo !!
Arriviamo a Sibari alle 17.40 anziché alle 16.30 come da orario (dettagli, puri e semplici dettagli...).
Là troviamo fortunatamente un treno per Cosenza, alle 18.00, e lo prendiamo. Decidiamo di riposare un po il cervelo e rifocillarci col sacchetto che i capi dello staff ci hanno amorevolmente dato prima di partire. In tutto, due panini al tonno e manzo e una mela (che nel frattempo era diventato succo di mela, per via degli urti e dello sballottamento).
Comunque a Castiglione Cosentino perdiamo un altro pezzo della compagnia: Antonio scende e prende un treno per Paola, dove dovrà aspettare un quarto d’ora per prenderne un altro fino a Reggio Calabria.
Noi nel frattempo giungiamo a Cosenza.
La figura del papà di Michele si staglia in lontananza. Io mi inginocchio e gli bacio la mano come si fa col papa.
Non è un miracolo, ma ci siamo quasi, dato che siamo arrivati…
Ora manca solo il viaggio fino a Rogliano, fino a quella vasca da bagno e quel letto che desidero più di ogni altra cosa al mondo. Sistemiamo gli zaini e ci infiliamo in macchina.
Ma... BRR BRR BRR, e la macchina non parte !
Spettacolo al quadrato...
Spingiamo e la macchina riparte. Intanto la sfortuna non risparmia nemmeno Antonio, che a Paola scopre che il suo treno viaggia con 50 minuti di ritardo ed ha anche entrambi i telefonini scarichi. Arrivati a S. Stefano di Rogliano ci fermiamo dall’elettrauto.
Con la testa grande come un pallone sonda, le uniche cose che sento uscire dalla bocca dell’uomo in tuta blu e gialla sono: ”Mi devi lasciare la macchina, devo cambiare la batteria”.
E come siamo tornati ? È la domanda che un po tutti vi starete ponendo, credo…
Risposta semplice: l’elettrauto ci da un passaggio ! Quindi, vai a togliere di nuovo gli zaini e risistemali nel bagagliaio dell’auto dell’elettrauto !!
Arrivo a casa mia alle 20.07.
Campi-Rogliano in 8 ore e 7 minuti: mi sembra accettabile !!!
Peccato che con lo stesso tempo, in aereo, se partissi da Lamezia Terme, arriverei a Toronto, in Canada !!
Certe cose ci accadono forse perché siamo stati prescelti.
Scusate, ma mi viene naturale dire: che culo !!!

E ora, ricapitoliamo i vari cambi e le varie disgrazie del pomeriggio del secolo:

Campi-Lecce > treno ferrovie Sud Est
Lecce-Brindisi > treno Trenitalia
Brindisi-Taranto > treno Trenitalia
Taranto-Metaponto > treno Trenitalia
Metaponto-Sibari > Pullman
Sibari-Cosenza > treno Trenitalia
Cosenza-S.Stefano > macchina papà di Michele
S.Stefano-Rogliano > macchina dell’elettrauto


Ora, giusto per completezza, metterò i numeri ad ogni avvenimento, cosi vi renderete conto di quante ne abbiamo dovute passare:

1) Ritardo treno ferrovie Sud Est (20 Minuti)
2) Scendere a Metaponto e prendere il pullman
3) Non bastano i posti sui pullman
4) Lite sul pullman
5) Piove nel pullman
6) Perdiamo una valigia
7) Perdiamo un tergicristallo
8) Perdiamo la coincidenza delle 17.10
9) Treno di Antonio per Reggio con 50 minuti di ritardo
10) Entrambi i cell di Antonio scarichi
11) Non parte la macchina
12) Dobbiamo lasciare la macchina dall’elettrauto

Grazie per l’attenzione...

A Presto !

Un abbraccio,
Pierluigi"