martedì 13 maggio 2008

Viaggio nelle Fiandre


03.05.08



Fuori di quì c'è un incredibile grigiore.

Sembra che tutte le cose, nuvole comprese, concorrano a dipingere l'ambiente che mi circonda a falsi colori, come se davvero le tinte della natura fossero contenute in dei barattoli che si sono - chissà perchè - esauriti.

Non è la prima volta che sento tutto questo. Quando ero ragazzino, ero convinto che l'altra faccia della vita, quella triste e negativa, spuntasse fuori quando il cielo diventava grigio.

Oggi conosco un'altra strada verso cui indirizzare il mio umore, in queste giornate. E' una strada che ho percorso tre volte finora, ed ognuna di queste ha significato per me la scoperta, volta per volta e istante per istante, di una parte del mio carattere di cui ignoravo l'esistenza.

L'ultima volta che l'ho percorsa, quella strada mi ha condotto nell'incantevole città di Anversa (Antwerpen, in lingua fiamminga), ed è stato lì che l'ultima parte di me è venuta fuori.

La città è facilmente raggiungibile da qualsiasi punto del Belgio e dei Paesi Bassi, principalmente perchè le autostrade assolvono al loro compito senza rancore, e poi perchè, sdraiate sull'immensa e rilassante campagna belga, sembra che davvero non si stanchino di farsi attraversare da un cospicuo flusso di automobili, secondo in Europa solo a quello della regione industriale tedesca della Ruhr.

Il peso della storia, da quelle parti, è considerevole: gli stessi alberi che ho ammirato io arrivando là, li scelse Napoleone Bonaparte per far riposare il suo esercito in vista del capitolo conclusivo della sua storia (che ebbe luogo a Waterloo, circa 70 km da quì guidando verso sud, in direzione di Bruxelles), le stesse tinte di verde su cui si è riposato il mio occhio rilassano e calmano, da secoli, gli abitanti di Leuven e delle altre centinaia di splendide cittadine fiamminghe.




Le due foto che vedete quì sopra si riferiscono alla piazza principale di Anversa, la Grote Markt (la piazza del "Gran Mercato", in fiammingo). Ad essere sinceri, non credo si svolga più il mercato da queste parti, e le uniche cose che sono in vendita sono i cibi e le bevande serviti dai numerosi "cafè" (o "cafetaria", come li chiamano da quelle parti) e ristoranti che erano intorno a me.

Gli odori e i sapori sono, però, soltanto il corollario di un sentimento più grande, che è riuscito a cambiarmi: la certezza di non avere più bisogno di confini.

La Grote Markt ospita, sulla facciata della Raadhuis (il palazzo del comune), le bandiere di tutti gli Stati membri dell'Unicef.

La vista di tutto questo era solo la conferma di un sentore che già avevo, almeno da quando ero entrato in città poche ore prima: cartelloni pubblicitari, vecchi e nuovi, che reclamizzavano in fiammingo qualunque cosa; strade di periferia - appartenenti al cosidetto Ring, cioè l'anello stradale che congiunge tutte le direttrici da e per la città - che somigliavano alle molte vie di Milano in cui hanno sede i grandi gruppi industriali, le stesse vie in cui da ragazzino accompagnavo per mano mio padre in cerca di lavoro; case di periferia in eleganti e tristi mattoncini bordeaux, costruite senza la paura che un terremoto, un giorno, magari come è già successo da noi, potesse distruggerle; case di città in prossimità del centro, con ingressi molto stretti, l'uno di fianco all'altro, troppo nuove per ricordarsi del passato, addossate una all'altra, come nelle strade di ordinaria vita parigina o in quelle aristocratiche di South Kensington a Londra; infine tante lingue, tante etnie, migliaia di sorrisi e altrettante speranze, queste ultime mescolatesi tra loro nelle piovose Fiandre per regalarsi un futuro dignitoso che altrove, probabilmente, non avrebbero avuto.





Il fascino di Anversa, lo stesso di Amsterdam e di Maastricht, è proprio questo: sentire l'Europa, in alcuni angoli delle strade anche il Pianeta, che respira.

Credo di aver pianto, per questo. Mi sono sentito finalmente vivo, non più relegato in una località fisicamente e mentalmente minuscola, al centro del Mediterraneo, lontano dalla cultura e dalla civiltà - che ormai da tempo immemore hanno abbandonato il nostro Paese -, lontano dalle piste della vita e dal respiro dei popoli.

Un'amica mi ha scritto all'incirca queste parole: "Quando non sentirai più lo stimolo di fuggire, quando ti sentirai appagato dall'aria che respiri o da ogni cosa che osservi, quando il tuo cuore non ti farà più male... forse sarà arrivato il momento di restare".

La verità ?

Io sono un cittadino europeo, e grazie all'inglese posso farmi capire praticamente da chiunque, e quasi dovunque. Ogni posto, in virtù di questo, potrebbe essere la mia casa, ma ovviamente non è solo una questione di comprensione. Più che altro, è una questione di cuore.

Ed è stato là, a contatto con l'atmosfera di un ristorante portoghese, passeggiando tra gente di mille culture, lingue e Paesi, inebriato dagli odori delle cucine di tutti gli angoli del globo, estasiato dai sapori dei tipici Wafer belgi, delle patatine fritte con curry e maionese vendute dalle tavole calde turche e dei cioccolatini preparati e dipinti a mano dagli artigiani, meravigliato dal luccichio dei negozi di diamanti di proprietà degli ebrei, colpito dal vero profumo dell'Europa e disorientato dalla bellezza delle ragazze del posto, che il mio cuore ha smesso di far male...



Tonnellotto

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