sabato 26 aprile 2008

GLI UOMINI PREFERISCONO LE BIONDE

GLI UOMINI PREFERISCONO LE BIONDE

Ecco un vecchio adagio.
Lo abbiamo ereditato da un film del 1953, "Gentlemen Prefere Blondes" ("Gli Uomini Preferiscono Le Bionde", appunto), diretto da Howard Hawks e interpretato da Jane Russell e dalla grande Marilyn Monroe.
Ma un film è un film, mentre un adagio, beh, deve essere comprovato, non credete ?
Io non gli ho mai dato molto credito, ma comunque mi chiedo cosa ci sia di vero.
Se avete voglia di seguirmi, proviamo insieme a vedere se l'adagio regge: scopriremo insieme delle cose davvero interessanti !!

Partiamo da un dato di fatto: la reputazione delle bionde.
Il 9 Agosto del 2001, negli Stati Uniti fu indetta un' insolita giornata di protesta: il "National Blonde Day", cioè la "Giornata Nazionale Delle Bionde". Come per molti altri avvenimenti di ideazione yankee, anche per questo qualcuno di voi nutrirà diffidenza o difficoltà ad accettarne le stranezze, ma entrare nella loro ottica, per noi, non è così facile come sembrerebbe. Una di queste stranezze consiste sicuramente nel fatto che la Metro Goldwyn Mayer (MGM) - la stessa di Tom & Jerry, per intenderci - abbia finanziato l'evento con lo scopo di ricavarne pubblicità per il film "Legally Blonde" (tradotto da noi in maniera, al solito, fantasiosa col titolo "La Rivincita Delle Bionde"), in cui compariva Reese Witherspoon, che usciva nelle sale in quei giorni. L'altra stranezza, forse più rimarchevole della prima, consiste nel fatto che la rivista Harvard Law Review, famosa testata di stampo legale pubblicata dalla Harvard University, abbia deciso di guardare all'evento col suo classico occhio autoritario, per farlo sembrare meno ridicolo. Ecco il punto: se persino una rivista di avvocati prova a difendere pubblicamente la causa delle bionde, beh, allora non vi rimane altro che ringraziare Dio, se siete ragazze, per avervi dato un colore di capelli diverso !

La situazione è così grave ? Pare di sì.
Nei Paesi Anglosassoni, la reputazione della donna bionda ha raggiunto i minimi storici. Un esempio ? Voi tutti sapete che gli Americani utilizzano un linguaggio fantasioso per descrivere alcuni aspetti della vita: infatti, per dire che hanno fatto una cosa stupida, dicono "I've had a blond moment", cioè "ho avuto un momento da bionda".
L'Università di Coventry si è addirittura scomodata per fare una ricerca, cercando di capire quanto sia radicata questa convinzione nella cultura moderna. Il dottor Cassidy, del Dipartimento di Psicologia, ha assunto una modella di 21 anni, l'ha fatta vestire in quattro modi diversi e le ha fatto indossare quattro tipi di parrucche diverse, ognuna con un colore differente: biondo naturale, biondo ossigenato, rosso e castano scuro (bruno).
Quindi, per ogni acconciatura ne ha ricavato una fotografia, mostrando gli scatti - a caso - ad un campione di persone e chiedendo loro di classificare le fotografie in base a caratteristiche quali il temperamento, la timidezza, l'intelligenza e l'aggressività.
Risultato ?
Per quanto riguarda l'intelligenza, cioè il parametro su cui il campione di persone si è focalizzato di più, la fotografia della bionda ossigenata è risultata quarta su 4, mentre la bionda naturale terza. In più si è scoperto che, agli occhi del campione, la ragazza bruna è risultata la più timida, mentre la bionda naturale la più procace. Il dottor Davis, dell'Università di Reading, ha commentato il risultato dicendo che una situazione simile è forse dovuta al fatto che la reputazione delle bionde è rovinata dalla miriade di battute e barzellette che circolano, le quali dipingono la ragazza bionda come tendenzialmente promiscua e stupida.

In effetti, di queste storie ne esistono diverse. Per esempio, c'è quella che dice che per far ridere una bionda il lunedì mattina bisogna raccontarle una barzelletta il venerdì pomeriggio.
Un' altra dice che in un supermercato c'è sempre una bionda che sta imbambolata davanti ai cartoni di succo d'arancia poichè su di essi c'è scritto"concentrato" (in inglese la battuta è resa meglio, poichè la parola "concentrate" non significa solo "concentrato", ma ha anche il significato di un imperativo, cioè "concentrati !").
La storiella più carina, però, secondo me è quest'altra:
"Una bionda si dirige verso un distributore automatico di Coca-Cola. Si ferma, inserisce una moneta e osserva la lattina saltare fuori. Tutta felice, corre a procurarsi altre monete. Una volta tornata al distributore, inserisce furiosamente le monete nella macchinetta, e una gran quantità di lattine inizia a saltare fuori. Dietro di lei, c'è un' altra persona che sta osservando quelle buffonate da una manciata di secondi.
Appena le chiede se sia possibile utilizzare la macchinetta, si sente rispondere: <Non lo vedi che sto vincendo ?>".
E allora ? Che ne dite, vale quell'adagio ?
PS ::: Senza offesa per le mie amiche bionde, ovviamente !!

Alla prossima,
Tonnellotto

giovedì 10 aprile 2008

2008 March Madness !!


Il basket dei College, una follia tutta americana !
di Stefano Semeraro - LA STAMPA 09.04.2008
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Marzo è il più pazzo dei mesi, aprile il più crudele. Lo dicono i proverbi. Lo sanno i poeti. Se non ne sei convinto, te lo spiegano quelli del basket universitario made in Usa. «March Madness», follia di marzo, si chiama l'impazzimento che coglie il maschio americano ogni primavera. Le femmine non c'entrano. E' roba di canestri, di palloni, di secondi spuntati sul cronometro: 64 college che si sfidano nel campionato Ncaa, sperando di arrivare in aprile alle Final Four, quelle original, con marchio depositato. Una epidemia che a livello di college fa impallidire football e baseball. Quaranta milioni di americani bloccati davanti alla tv. Trentasette milioni di partecipanti alle riffe aziendali sul campionato. Quest'anno una clinica specializzata in vasectomia offriva persino un pacchetto completo: venite ad operarvi da noi, e in convalescenza godetevi in santa pace a letto le Final Four. Un delirio, raddoppiato per l'occasione dal copione infartuante della finale. Lunedì sera, all'Alamodome di San Antonio (Texas) se la giocavano i Kansas Jayhawks ed i Memphis Tigers. I Tigers erano avanti 60-51 a 2 minuti e 12 secondi dalla sirena, sono riusciti a suicidarsi sbagliando 4 tiri liberi su 5 in 75 secondi e lasciando a Mario Chalmers - l'eroe di giornata - la tripla del pareggio a 2 secondi dalla fine. «Il tiro più importante nella storia di Kansas», secondo coach Bill Self. Ciuff, tempi supplementari, i Jayhawks che venti anni dopo i miracoli di Danny Manning rivincono il campionato per 75-68. Follia vera. Sangue pompato nel cuore dello sport universitario americano, che per molti conta di più, emoziona di più di quello dei professionisti. Del resto le franchigie delle quattro grandi leghe pro (baseball, football, basket e hockey) sono in tutto 122. Solo le squadre di basket iscritte alle varie «division» della Ncaa arrivano a 340. Occupano il territorio e i ricordi, mentre i pro pensano soprattutto ai grandi mercati tv lontani dall'anima. Esempio: a Memphis i Tigers e i Memphis Grizzlies della Nba dividono lo stesso impianto, ma quest'anno gli universitari hanno fatto più pubblico. Le franchigie pro cambiano nome e Stato seguendo il business. Il college non tradisce. Se sei stato studente il legame con l'Alma Mater è viscerale ed eterno. I giocatori passano, il college rimane. C'è sempre un parente che lavora lì, il figlio di un amico che ci studia. Qualcuno per cui vale la pena tirare fuori la macchina dal garage. Così anche se oggi l'Ncaa ai migliori serve soprattutto come trampolino per la Nba, la passione brucia. E la Cbs, che ha i diritti tv fino al 2014 e quest'anno ha trasmesso anche via web, gongola. Per evitare che i pro succhiassero il meglio direttamente dalle high-school (è successo per Kevin Garnett, Kobe Bryant, LeBron James) il limite per l'ammissione al «draft», alla «scelta» è stato elevato a 19 anni. Qualche magheggio rimane, ma dove ci si scanna è nel passaggio fra high-school e college. Non è possibile reclutare, offrire soldi agli atleti: solo borse di studio al merito, sportivo o altro, però in numero limitato. In alcuni periodi dell'anno agli allenatori è addirittura proibito parlare ai giocatori. C'è allora chi assume subdolamente come assistente il coach della high-school frequentata dal ragazzo a cui mira. Altri sono stati beccati la mattina in silenzio davanti alla casa dell'interessato con addosso la maglietta del college. Muti, ma eloquenti. A dare una mano (illegale) sono spesso gli «alunni», gli ex studenti, specie quelli ricchi. «Golden handshake», la chiamano, stretta di mano dorata: tu vieni da noi e io offro un lavoro estivo strapagato a te, o un impiego ai genitori. Senza contare che le donazioni ai college sono deducibili dalle tasse. Il miliardario T. Boone Pickers l'anno scorso ha versato 165 milioni di dollari ad Oklahoma State University ed è pronto a offrirne 6 a coach Bill Self per strapparlo alla University of Memphis. Del resto un buon team dà lustro. E vale oro. L'apparizione nelle Final Four del 2006 portò all'università di George Mason il doppio dei biglietti per le gare interne e il 350% in più di iscrizioni. Con quello che costano le rette (anche 45.000 dollari l'anno), molto più un calcolo che una follia...
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