giovedì 10 aprile 2008

2008 March Madness !!


Il basket dei College, una follia tutta americana !
di Stefano Semeraro - LA STAMPA 09.04.2008
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Marzo è il più pazzo dei mesi, aprile il più crudele. Lo dicono i proverbi. Lo sanno i poeti. Se non ne sei convinto, te lo spiegano quelli del basket universitario made in Usa. «March Madness», follia di marzo, si chiama l'impazzimento che coglie il maschio americano ogni primavera. Le femmine non c'entrano. E' roba di canestri, di palloni, di secondi spuntati sul cronometro: 64 college che si sfidano nel campionato Ncaa, sperando di arrivare in aprile alle Final Four, quelle original, con marchio depositato. Una epidemia che a livello di college fa impallidire football e baseball. Quaranta milioni di americani bloccati davanti alla tv. Trentasette milioni di partecipanti alle riffe aziendali sul campionato. Quest'anno una clinica specializzata in vasectomia offriva persino un pacchetto completo: venite ad operarvi da noi, e in convalescenza godetevi in santa pace a letto le Final Four. Un delirio, raddoppiato per l'occasione dal copione infartuante della finale. Lunedì sera, all'Alamodome di San Antonio (Texas) se la giocavano i Kansas Jayhawks ed i Memphis Tigers. I Tigers erano avanti 60-51 a 2 minuti e 12 secondi dalla sirena, sono riusciti a suicidarsi sbagliando 4 tiri liberi su 5 in 75 secondi e lasciando a Mario Chalmers - l'eroe di giornata - la tripla del pareggio a 2 secondi dalla fine. «Il tiro più importante nella storia di Kansas», secondo coach Bill Self. Ciuff, tempi supplementari, i Jayhawks che venti anni dopo i miracoli di Danny Manning rivincono il campionato per 75-68. Follia vera. Sangue pompato nel cuore dello sport universitario americano, che per molti conta di più, emoziona di più di quello dei professionisti. Del resto le franchigie delle quattro grandi leghe pro (baseball, football, basket e hockey) sono in tutto 122. Solo le squadre di basket iscritte alle varie «division» della Ncaa arrivano a 340. Occupano il territorio e i ricordi, mentre i pro pensano soprattutto ai grandi mercati tv lontani dall'anima. Esempio: a Memphis i Tigers e i Memphis Grizzlies della Nba dividono lo stesso impianto, ma quest'anno gli universitari hanno fatto più pubblico. Le franchigie pro cambiano nome e Stato seguendo il business. Il college non tradisce. Se sei stato studente il legame con l'Alma Mater è viscerale ed eterno. I giocatori passano, il college rimane. C'è sempre un parente che lavora lì, il figlio di un amico che ci studia. Qualcuno per cui vale la pena tirare fuori la macchina dal garage. Così anche se oggi l'Ncaa ai migliori serve soprattutto come trampolino per la Nba, la passione brucia. E la Cbs, che ha i diritti tv fino al 2014 e quest'anno ha trasmesso anche via web, gongola. Per evitare che i pro succhiassero il meglio direttamente dalle high-school (è successo per Kevin Garnett, Kobe Bryant, LeBron James) il limite per l'ammissione al «draft», alla «scelta» è stato elevato a 19 anni. Qualche magheggio rimane, ma dove ci si scanna è nel passaggio fra high-school e college. Non è possibile reclutare, offrire soldi agli atleti: solo borse di studio al merito, sportivo o altro, però in numero limitato. In alcuni periodi dell'anno agli allenatori è addirittura proibito parlare ai giocatori. C'è allora chi assume subdolamente come assistente il coach della high-school frequentata dal ragazzo a cui mira. Altri sono stati beccati la mattina in silenzio davanti alla casa dell'interessato con addosso la maglietta del college. Muti, ma eloquenti. A dare una mano (illegale) sono spesso gli «alunni», gli ex studenti, specie quelli ricchi. «Golden handshake», la chiamano, stretta di mano dorata: tu vieni da noi e io offro un lavoro estivo strapagato a te, o un impiego ai genitori. Senza contare che le donazioni ai college sono deducibili dalle tasse. Il miliardario T. Boone Pickers l'anno scorso ha versato 165 milioni di dollari ad Oklahoma State University ed è pronto a offrirne 6 a coach Bill Self per strapparlo alla University of Memphis. Del resto un buon team dà lustro. E vale oro. L'apparizione nelle Final Four del 2006 portò all'università di George Mason il doppio dei biglietti per le gare interne e il 350% in più di iscrizioni. Con quello che costano le rette (anche 45.000 dollari l'anno), molto più un calcolo che una follia...
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