mercoledì 19 agosto 2009

Io, Lei


Di nuovo in piedi nel cuore della notte, come non mi capitava da anni.
L'antagonista del giorno ha assunto una forma diversa: questa volta è un quadro dai toni scuri, rilassanti, dei quali i miei occhi godono, e continuano a farlo anche quando i fari delle poche auto che sfrecciano a quest'ora rompono il silenzio del buio. Qualche goccia di pioggia sembra voler alterare ciò che osservo, trasformando la lastra di vetro in una tela bianca, sulla quale sono piovuti schizzi di una tinta argentata: impossibili da ignorare, ma solo se la luce li attraversa. La mia figura è vaga, indefinita, come se in effetti non avesse affatto voglia di farsi notare. Ci ripenso, mentre la mia vista fluttua nell'armonioso rumore del silenzio, e mi viene in mente che forse è davvero così, forse il mio riflesso non può che essere indeciso, indeterminato, proprio come lo è la mia storia con lei.
Mi volto delicatamente. Occupa il lato del letto che aveva scelto, avvolta per metà nelle sottili coperte di settembre, e per l'altra metà nella flebile luce che passa attraverso quella lastra di vetro che forse ho confuso per una tela. La parte alta del suo fianco sembra voler sovrastare il buio come un attore egocentrico vorrebbe fare con la sua platea, attirando cioè su di se le attenzioni di tutti gli occhi presenti in sala. I miei, di occhi, sono rapiti dai movimenti delle sue sinuose costole, che ad ogni respiro generano forme e ombre diverse, e desidererebbero stare sempre aperti, per poter raccontare di averle viste tutte.
C'è ancora il profumo di ieri sera nell'aria. Le rose sono ancora al loro posto, sul bordo di quelle ampie finestre che lei ha fatto mettere nel soggiorno, ma sembrano appassite, smunte, come se l'aver spento le candele avesse tolto loro la forza di essere rosse come quando erano nate. Mi rigiro verso la finestra, ed inizio a pensare a quanto indemoniato possa essere quell'attore, la cui conclamata pomposità trova riscontro in una triste orchestra da teatro con due soli musicisti al loro posto. Tutto il resto, tutta l'altra musica, è silenzio, sottile pentagramma di rabbia, forza di non avvertire la necessità di un concerto con trombe, archi e percussioni. Solo un contrabbasso, per scandire il ritmo dei nostri incontri, e il volatile suono del flauto, per tentare di rendere reale la fugace attrazione che ci lega.
La bottiglia di vino che avevo portato è ancora lì sul tavolo. Per un attimo mi rinviene il gioco di colori cui aveva preso parte, nel quale cercava di sfidare la luce riflessa negli occhi di Claudia, così viva, così accesa da farmi sentire assuefatto dal bagliore. Tutta colpa di quella candela che avevamo messo di fianco alla bottiglia, a metà strada tra me e lei, nello stesso punto in cui si trovano le cose che nelle nostre vite non sono andate come dovevano, nello stesso luogo dal quale nasce il bisogno di leccarci le poche ferite che abbiamo, nello stesso tempo in cui abbiamo deciso di avere paura della vita. Tutta colpa di un direttore d'orchestra che non è mai stato in grado di trovare altri musicisti e calmare quell'attore pazzo, o magari di quel bisogno che leggiamo l'uno negli occhi dell'altra.
Ancora auto che sfrecciano, e luci, e gocce di pioggia.
Ho voglia di tornare da lei, sdraiarmici accanto e sognare di non averla mai conosciuta, eppure sono ancora quì. Ancora io, a tratti su un vetro, ancora lei, prigioniera del sonno.
Nessuna colpa, per nessuno. Solo io, lei.
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Sai che cosa penso,
Che se non ha un senso,
Domani arriverà,
Domani arriverà lo stesso
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E' l'odore della pioggia
A scandire il ritmo
Della ruota che gira
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