
Stasera sono tornato a Villa Felice.
L'ultima volta che ci sono stato, non sospettavo che la vita potesse riservare sorprese, alcune delle quali sono delle delusioni abilmente camuffate. Villa Felice, l'anima di Sant'Angelo di Drapia, ha chiuso i propri cancelli ufficialmente nel luglio del 1996.
Per anni, il suo Ostello della Gioventù è stato la casa di giovani vacanzieri durante l'estate, e di centinaia di ragazzi provenienti da tutte le zone della Calabria, e dalle famiglie più disastrate, durante l'inverno. Negli occhi dei ragazzi che trascorrevano interi anni scolastici a Sant'Angelo, protetti da una coltre di durezza e - a volte - bullismo che serviva a celare caratteri fragili ed impauriti, si poteva leggere la sofferenza che essi provavano per essere orfani di un genitore, per avere un genitore in carcere o un fratello drogato, per non poter più vedere madre e padre insieme, come facessero ancora parte di un'unica famiglia, la loro, e per non poter, in fondo, vivere con la speranza che i sogni si avverino, come fanno tutti i ragazzini fortunati.
Fortunati, i ragazzi di Villa Felice non lo erano per davvero. Alcuni di loro, benchè non ne avessero la minima colpa, avevano già, all'età di 10-12 anni, qualcosa da farsi perdonare, qualche conto da saldare con una vita che per loro era iniziata col piede sbagliato. Noi alunni della scuola elementare di Gasponi li temevamo. Spesso facevano i duri con noi, i prepotenti, ma io, personalmente, dovetti arrivare fino in quarta elementare per capire che la loro aggressività era una strategia di difesa, attuata nei confronti di un mondo che li aveva traditi, e del quale, chissà, forse non si sarebbero mai più fidati.
Nel giugno del 1994 fummo uniti a loro nella preparazione di una recita di fine anno scolastico. Io avrei svolto il ruolo di presentatore per la parte affidata ai bambini della scuola materna, mentre sarei stato il famoso Lawrence d'Arabia in quella parte di recita affidata ai più grandi. Avevamo provato poche volte insieme, e così quello che scoprii la sera della recita fu un'autentica sorpresa, la prima sorpresa positiva della mia vita. Avevo 10 anni.
Sul palco, mentre recitavo e mi muovevo, c'erano anche loro di fianco a me, i ragazzi di Villa Felice, tutti con ruoli secondari, ma con occhi che brillavano di stupore e gioia perchè - ora ne sono sicuro - si sentivano finalmente parte di un qualcosa di reale, che si andava trasformando in magico proprio davanti a loro. E per una sera, avendo dimenticato i loro problemi, la delusione di essere stati "abbandonati" in un istituto educativo, il dolore che provavano per essere stati strappati ai giochi ed agli amici, agli affetti ed alla fantasia, erano tornati bambini. Per loro, durante le due ore della nostra recita, sperare di avere una vita migliore non deve essere affatto sembrata un'utopia. Quella è stata la sera migliore della mia vita: ho potuto vedere con i miei occhi cosa significa tornare a sperare, e ringrazio Dio per avermelo concesso.
Poche ore fa, dicevo, ho rivisto i luoghi di Villa Felice: le scale di lato alla chiesa che vedete nella foto sopra, il piazzale dove mio padre mi portava a giocare a tennis con quella sua racchetta di legno e quelle sue palline consumate (una delle quali fu regalata, ricordo, ad un ragazzo che si era arrampicato su una staccionata per recuperarla, dopo che noi l'avevamo persa; un ragazzo probabilmente orfano - Villa Felice ne ospitava alcuni - aveva visto un padre ed un figlio giocare insieme, ed allora aveva voluto dare il suo contributo a quel momento di gioia, forse conscio di quello che significavano ai suoi occhi le scene che stava osservando), la bellissima piscina col fondo in plastica azzurra, le scuole elementari frequentate dai ragazzi, e poi l'Ostello, dove nel 1982 entrò persino papa Carol Wojtyla, e dove i miei genitori spesso mi accompagnavano, la domenica sera, alle messe di Don Florio (che ha avuto il grande merito, a Villa Felice, di cercare sempre di coinvolgere i ragazzi che aveva davanti, facendoli sentire importanti).
Poi ho rivisto Rita. E' una suora oblata che ha avuto il coraggio di lasciare la propria famiglia benestante, in quel di Roma, per scendere in Calabria, nella difficile Calabria di 35 anni fa, e dedicare tutta una vita ai ragazzi meno fortunati. Una missione che dura una vita. Salutandomi, stasera, ha risvegliato in me tutte le emozioni andate, quelle delle mie giornate trascorse a Villa Felice, emozioni genuine, che sembrano scomparire quando la vita si fa più difficile, ma che ogni tanto si avverte il bisogno di ricordare. Rita vive nella povertà materiale, ma la sua ricchezza, cioè la sua saggezza, il suo essere stata disponibile, comprensiva e d'aiuto per quei ragazzi, non può passare in secondo piano, nè può essere dimenticata, poichè è merce assai rara sulla Terra. I ragazzi di Villa Felice che l'hanno conosciuta, dovunque essi siano in questo momento, non potranno che ricordarla con viva gioia.
Solo dieci minuti a Villa Felice, ma abbastanza per ricordare mille storie, per rivivere mille sensazioni, e per rimpiangere il passato, ora che una tremenda tristezza soffia tra i pini di quel magico posto. Oggi è tutto in disuso, diviso tra i vari eredi di colui che aveva dato vita a tutto, Don Gerardo.
Mille storie, mille lacrime, mille salti del cuore, ma una certezza: spesso le grandi storie vivono ancora vicino a noi, e non dobbiamo dimenticarle mai.
Tonnellotto